Ieri 15 agosto, Ferragosto anche in Afghanistan i talebani festeggiano, non la Madonna e neanche la grigliata mista sulla spiaggia, ma la presa di potere del Paese determinando una situazione di miseria e carestia e distruzione dei più elementari diritti civili delle donne.

Non è così lontana Kabul da Roma o da Londra o da Parigi o meglio, Roma, Londra e Parigi sono vicine a Kabul più di quanto i talebani riescano ad immaginare. Esistono i media, esiste Internet, ma soprattutto esiste la voglia, da quando le streghe venivano bruciate sul rogo perchè avevano i capelli rossi o un gatto nero o una cultura che le rendeva donne temibili, una grande, immensa voglia, una esagerata, esasperata volontà di reagire contro i talebani, che giorni fa non hanno esitato a sparare in aria per le vie di Kabul cercando di disperdere una protesta organizzata da una quarantina di donne. Le manifestanti portavano uno striscione su cui si leggeva: “Il 15 agosto è una giornata nera”, in riferimento alla data della caduta della capitale ed altri con slogan del tipo “Giustizia, giustizia! Siamo stufi dell’ignoranza”. Alcune dimostranti hanno cercato rifugio nei negozi limitrofi alle strade della marcia, dove sono state inseguite e picchiate con il calcio dei fucili dai talebani, così come riportano le agenzie di stampa e come si vede dalle immagini dei filmati diffusi in tutto il mondo.

Questo e non altro vi frega, cari talebani, il fatto che ci siano testimonianze delle vostre angherie, dei vostri soprusi soprattutto verso le donne. Vi illudete che basta impedire l’accesso allo studio e al lavoro, costringere il genere femminile a indossare il burqa ed essere accompagnato per le vie da un parente maschio, per tornare ad epoche buie per voi rassicuranti. Tutto vi è contro, in primis l’economia che non è cosa da poco anzi, seppure con rammarico dobbiamo riconoscere che è la causa regina, ancora prima dei diritti civili e come insegnano certi Paesi arabi di certe concessioni.

Non sono poi così lontani, anzi sono maledettamente vicini certi Senatori col fiocchino seduti nel nostro Parlamento italiano che vorrebbero le donne impegnate al massimo come maestre d’asilo e tutti i medici ospedalieri obiettori di coscienza contro l’aborto terapeutico, per dire. Sono maledettamente vicini e ci fanno ricordare quanto pesa il maschilismo nella nostra società civile dove si ammazza preferibilmente a coltellate una donna al giorno, “dacci oggi il femminicidio quotidiano”, che non trova argine semplicemente perchè la mentalità fallocratica fa miglior presa di quella dove le opportunità sono uguali. Per lui e per lei. Fa più rumore un bosco che muore di una pianta che cresce. Le donne hanno impiegato secoli per far valere i propri diritti nelle cosiddette società occidentali evolute, con piccoli impercettibili passi di progresso. Il rischio è quello di abbassare la guardia, illudersi che i diritti acquisiti siano per sempre. Non è così. Kabul ce lo insegna, seppure la civilità d’importazione nel caso di specie non sia stata delle migliori, ricordo a me stessa che in alcuni Stati della civilissima America esiste ancora la pena di morte, l’aborto è illegale e che “l’Idaho ha abrogato la sua legge sulla sodomia nel mese di marzo del 2022. (…) . A luglio 2022, 14 stati o non hanno ancora abrogato formalmente le loro leggi contro l’attività sessuale tra adulti consenzienti o non le hanno riviste in modo da riflettere con precisione la sentenza suprema del 2003. (…) Gli statuti di 11 stati hanno la pretesa di vietare tutte le forme di sodomia, alcune delle quali includono anche il sesso orale, a prescindere dal genere dei partecipanti: Carolina del Nord, Carolina del Sud, Florida, Georgia, Louisiana, Maryland, Massachusetts, Michigan, Minnesota, Mississippi e Oklahoma. Solamente tre stati indirizzano ancora specificamente i propri statuti alle relazioni omosessuali: Kansas, Kentucky e Texas.” (cit. Wikipedia). Ora si comprende quanto fossero assurdi gli hippies a inneggiare “Fate l’amore, non fate la guerra”, lo dicono i fatti che gli Usa hanno una certa predisposizione ad essere più guerrafondai che amator cortesi. Tutto questo preambolo per gettare un grido d’allarme sulla questione femminile italiana che è ben lontana da una zona di comfort sociale e morale.

Ci sembrano lontani certi tempi, ma in realtà le disposizioni sul delitto d’onore sono state abrogate soltanto il 5 agosto 1981 (con la legge 442), ben dopo le norme giuridiche che hanno abrogato il reato di adulterio (1968), l’introduzione del divorzio (1970, legge 898), la riforma del diritto di famiglia (1975, legge 151), l’introduzione dell’aborto (1978, legge 194). Quarantun anni fa, una manciata di anni, nonostante l’emancipazione femminile degli anni ‘70. Uno sputo di tempo. Era il 5 agosto 1981. 40 anni fa. Una sola riga: la legge 442 aboliva gli articoli 544 (matrimonio riparatore), 587 (delitto d’onore) e 592 (abbandono di un neonato per causa d’onore) del Codice Penale. In particolare l’articolo 587 così stabiliva: “Chiunque cagiona la morte del coniuge, della figlia o della sorella, nell’atto in cui ne scopre la illegittima relazione carnale e nello stato d’ira determinato dall’offesa recata all’onor suo o della famiglia, è punito con la reclusione da tre a sette anni. Alla stessa pena soggiace chi, nelle dette circostanze, cagiona la morte della persona che sia in illegittima relazione carnale col coniuge, con la figlia o con la sorella”. Vi invito a vedere o rivedere il film di Pietro Germi con Stefania Sandrelli e Marcello Mastroianni “Divorzio all’italiana” del 1961, vent’anni prima, per capire meglio la condizione di arretratezza morale e giuridica dello Stato italiano del tempo.
Sul matrimonio riparatore invece vale la pena ricordare la storia di Franca Viola, ragazza siciliana di Alcamo che rifiutò di sposare l’uomo che l’aveva costretta alla fuitina. Franca Viola all’età di quindici anni con il consenso dei genitori braccianti agricoli, si fidanzò con Filippo Melodia, nipote del mafioso Vincenzo Rimi, membro di una famiglia benestante. Melodia venne arrestato per furto e appartenenza a banda mafiosa e ciò indusse il padre di Franca, Bernardo Viola, a rompere il fidanzamento. Per queste ragioni la famiglia Viola fu soggetta ad una serie di violente minacce e intimidazioni. ll 26 dicembre 1965, all’età di quasi 19 anni, Franca Viola fu rapita con il fratellino (Mariano di 8 anni, subito rilasciato) da Melodia, che agì con l’aiuto di dodici amici, devastando l’abitazione della giovane e aggredendo la madre che tentava di difendere la ragazza. Franca fu violentata, malmenata e lasciata digiuna, quindi tenuta segregata per otto giorni prima in un casolare al di fuori del paese e poi in casa della sorella di Melodia ad Alcamo. Il giorno di Capodanno, il padre della ragazza fu contattato dai parenti di Melodia per la cosiddetta “paciata”, ovvero per un incontro volto a mettere le famiglie davanti al fatto compiuto e far accettare ai genitori di Franca le nozze dei due giovani. Il padre e la madre di Franca, d’accordo con la Polizia, finsero di accettare le nozze riparatrici ma il 2 gennaio 1966, la polizia intervenne all’alba facendo irruzione nell’abitazione, liberando Franca ed arrestando Melodia e i suoi complici. Secondo la morale del tempo, una ragazza uscita da una simile vicenda avrebbe dovuto sposare il suo stupratore, salvando il suo onore e quello familiare. In caso contrario, sarebbe rimasta zitella e additata come donna svergognata. All’epoca la legislazione italiana ammetteva la possibilità di estinguere il reato di violenza carnale, anche ai danni di minorenne, qualora fosse stato seguito dal cosiddetto “matrimonio riparatore”, contratto tra l’accusato e la persona offesa; la violenza sessuale era considerata oltraggio alla morale e non reato contro la persona. Franca Viola dichiarò: «Io non sono proprietà di nessuno, nessuno può costringermi ad amare una persona che non rispetto, l’onore lo perde chi le fa certe cose, non chi le subisce» Anche in questo caso il cinema ci aiuta, affrontando in modo comico ma senza esagerare il tema nel film “La ragazza con la pistola” (1968) dell’inarrivabile Mario Monicelli ed una strepitosa Monica Vitti nei panni della trecciona Assunta Patanè catapultata in una fantastica swinging London di quei tempi yè-yè allo scopo di compiere giustizia uccidendo il suo rapitore Vincenzo.
Non lo farà, preferendo l’emancipazione inglese e l’amore quello vero. Ci sembra lontano quel tempo, ma non lo è, ce lo dicono le donne afghane, ce lo dicono i senatori col papillon, ce lo dicono le violenze di tutti i giorni sulle donne. Ora vi dovrei parlare dell’abbandono del neonato per onore, se frutto di relazione extraconiugale o extramatrimoniale. No, scusate, ho bisogno di fare respiri profondi e una sessione di mindfulness psicosomatica prima di scrivere qualsiasi cosa che non mi porti a detestare coloro che ho difeso finora. Le donne appunto.