Non è UAU

Non molestare le vecchiette nemmeno quando sono giovani

molestie
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Scritto da Cinzia Silvestri

A dire il vero non so da dove cominciare, mi ci provo, con un misto di speranza – illusione che alla fine scrivere su certi temi (le molestie, le violenze di genere..) diventa qualcosa di terapeutico, almeno per chi scrive, e forse per chi legge, qualcosa di ben lontano dalla melma mediatica quotidiana che offre la violenza sulle donne così come offre la pubblicità dell’anticalcare profumato al profumo di tazza di cesso.

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Ci provo quindi, ad attraversare i famosi ‘certi temi’, ovvero le molestie e le violenze, non senza dolore, perché toccano la mia intimità e dunque si attraversano come un tunnel di rovi dove qua e là ti senti stracciare le vesti e la carne, ma al contempo sai che quando raggiungi la fine del tunnel avrai sollievo e conforto dalla luce che ti avvolge dopo tante tenebre.

Mi son decisa dopo l’ennesima riproposizione da parte dei media di video delle molestie fatte da ragazzi/uomini extracomunitari, marocchini? italiani di seconda generazione e altre sciocchezze di cittadinanza che non spostano di un millimetro la gravità dei gesti. E quel riproporre ossessivo e quotidiani di quei video, la ragazza col piumino rosso, il branco, e le grida, le risate, io l’ho trovato rivoltante, irrispettoso di quel che c’era dentro quel piumino rosso. Decine di stronzi, e scusate il francesismo, interessati a palpeggiare la malcapitata e pure a derubarla, già che ci siamo, perché così la fava intesa in senso metaforico e offensivo si piglia due piccioni, intesi come preda e accessori facenti reato.

Ho riflettuto sull’opportunità di pubblicare questo ‘pezzo’ da un pezzo (gioco di parole voluto). Chi ha la bontà di seguire quel che scrivo sa quale sia la mia opinione sul tema della violenza alle donne o meglio, su quello che non si fa per contrastare la violenza alle donne e le molestie, partendo dalla più elementare mancanza di educazione al rispetto, femminile e maschile, per prevenire la violenza alle donne. Preparatevi a leggere in queste righe un linguaggio crudo, volgare no, ma crudo sì: è infatti alquanto inopportuno filosofeggiare come è d’uso per certe scienziate di talk show pomeridiani, che hanno le ricette in tasca per risolvere questo fenomeno in evidente e inesorabile crescendo, dati statistici alla mano.

La violenza sulle donne è fatta di molte sfaccettature, di sfumature spesso impercettibili, di approcci apparentemente innocui, oserei dire scherzosi. E allora guardiamole un po’, queste sfumature, guardiamole bene a partire dalle molestie, studiamole con occhio femminile e alla fine riflettiamo bene se vadano davvero considerate nuances distinte o se non siano invece invece perniciose basi, ipocritamente ritenute inoffensive, per far alzare l’asticella di sopportazione e tolleranza e perché no? anche di indifferenza.

Gli episodi in piazza Duomo a Milano per Capodanno sono stati definiti violenza sessuale di gruppo: è violenza palpeggiare una donna senza il suo consenso o sono semplici molestie? Secondo me sì. Oh, certo, un conto è la toccata di ‘ulo e un conto è uno stupro di gruppo, tipo quello del figlio del famoso comico-politico-comico, ma a furia di sottostimare le su citate sfumature si arriva al bollettino di guerra cui siamo abituati oggi, facendoci il cosiddetto callo.

Le donne violentate, dentro le mura domestiche e per la strada, sono ormai mera statistica numerica, talvolta non meritano neanche un titolo di cronaca, al massimo gli toccano panchina rossa il 25 novembre e apericena (parola immonda!) l’8 marzo. Va da sé che molti camerieri si rifiutino di servire certi tavoli per la Festa della Donna, poiché alcune signore poco avvezze alle libertà, aiutate dal gomito alzato, in tale occasione fanno avances pesanti e non esattamente gradite.

Lasciamo perdere, e lasciamo perdere ciò che lo Stato fa per proteggere, tutelare, difendere i diritti delle donne, anche nelle aule di Giustizia. Non mi compete e io sono tutt’altro che tuttologa e me ne vanto pure.

Dunque, all’ennesima replica del video di Capodanno e dopo aver letto del gesto di disperazione di una donna depressa, nonché piena di problemi seri, che a Catania si è spogliata sul terrazzo di casa lanciando pure oggetti, mentre un accorato pubblico guardava e qualcuno la invitava pure a lanciarsi di sotto, mi sono decisa a scrivere queste riflessioni che nascono da esperienza vissuta, che si perde lontano nel tempo.

Ed è questo perdermi nella memoria, di quando ero più giovane assai, che forse non mi consentirà di illustrare nel ‘particulare’ certi episodi, ma come sempre succede bisogna guardare la luna e non il dito che la indica. Racconterò cose che provano quanto non siamo cambiati, non dico che siamo rimasti all’età della pietra dove le donne venivano trascinate per i capelli dall’homo con la clava (oddio, casi simili ne troviamo ancora…), ma davvero non riesco a notare differenze da quando ero una bimbetta che andava al Liceo, sciocca e immatura come tutti gli adolescenti e poi ancora prima, ad oggi… Orsù, vado a narrare, senza indugio. Molestie e violenze.

Erano gli anni ‘60, a Pieve a Nievole c’era il cinematografo alla Casa del Popolo: prima dell’inizio del film e nella pausa tra il primo e il secondo tempo, passava il barista che vendeva le seme (semi di zucca salati assatanati), i lupini, i gommoni alla frutta e l’aranciata nel bicchiere di carta con stampata la riproduzione della facciata della Casa del Popolo, che se non ti sbrigavi a bere ingurgitavi aranciata e carta. D’inverno la mia nonna portava noi nipoti al vedere i film, la domenica pomeriggio: non erano sempre film per bimbi piccini, c’erano spaghetti western con Giuliano Gemma, poi i film cosiddetti leggeri prodotti da Cecchi Gori quello senior, con attoroni tipo Gassman e Tognazzi.

Una volta, avrò avuto otto anni, ero seduta con la nonna alla mia sinistra, si mise accanto a me una persona, a pellicola iniziata e quindi al buio. Dopo un po’, sentii una mano scivolare sulla coscia. A dire il vero non ci pensai tanto, gli detti una manata zitta zitta e il maniaco (l’ho sempre definito così) s’affrettò ad alzarsi ed allontanarsi. A dire il vero non rammento se la nonna non se ne accorse oppure se mi chiese qualcosa e io la tranquillizzai. Una cosa è sicura: non ho mai più gradito avere sconosciuti accanto a me nelle poltrone delle sale.

La molestia, che è l’anticamera della violenza, si ritrova anche nel linguaggio, che sovente si vorrebbe far passare per innocuo, come fosse marginale facezia e invece non lo è, specialmente quando nasconde la sottintesa e magari spalle al muro pure negata contrapposizione maschio – femmina, invocando quella falsa parità di genere su cui alcuni testosteronici elementi si basano per poi fare commenti a gazzosa, come li chiamo io. La parità di comodo, o per meglio dire ad cazzum, quando te donna (You Jane) non sei d’accordo con io, maschio (Me Tarzan). La parità di comodo che diventa maleducato revanscismo di genere quando io ‘oso’ affermare che non mi garba una serie televisiva ispirata alla camorra (una perla tra le tante di un maschilismo egocentrico mal celato) e mi si risponde che quella è la serie televisiva del cane adorato (e mette foto della bestia, dicesi di razza pericolosa) e che se mi legge (il cane), si incazza. Ma certo, certi commenti inviati per messaggio son basati sul filo dello scherzo, o che vuoi che sia? Invece a me questo modo di fare mi urta, mi disturba. Sono troppo suscettibile, in quanto donna? Può darsi, ma trovo quantomeno bizzarro attaccarsi alla potenziale violenza del cane di razza cosiddetta pericolosa (e comunque il pericolo dipende dall’educazione che il quattro zampe riceve) per farmi notare con subdola prepotenza che ‘Me Tarzan, You Jane’. Dunque, sei maschio e hai da puzza’? Ah no, scherzavi? C’è poco da scherzare sul modo in cui ci si pone nei rapporti uomo – donna e per me resta una canzonatura irricevibile.

La facezia, quel tentativo goffo di minimizzare le sfumature, del resto come suol dirsi? “Non pensavo si sarebbe offesa, non credevo che… “Puntualmente, sorte la scusa: in caso di stupro, la vittima pare addirittura consenziente, basta appunto leggere la cronaca, nera e giudiziaria.

Battutazze infelici che mortificano chi le riceve e qualificano chi le fa sono le nuances di una palette mestamente colorata che finisce puntualmente al nero. Sono molestie.

La mancanza di rispetto, la presa in giro, le fregature sul lavoro (basta guardare le buste paga): eccole le nuances che portano alle molestie per festeggiare l’Anno Nuovo, al ceffone per una cena sgradita, all’insopportabile ‘Stai zitta!’ tradizionale come un panettone uvetta e canditi. Sono molestie!

C’è differenza tra essere uomo ed essere donna, una differenza di cui andare fieri, una differenza che non vuol dire subalternità. E già che ci siamo e che siamo differenti, mi sembra giunto il momento di affermare che sono parecchio infastidita che ‘certi temi’, molestie, violenze, femminicidi, minacce e offese alle donne siano affrontati dagli uomini, che ne parlano con la sensibilità del Neanderthal man, soprattutto se politici. Davvero disturba che il so-tutto-io-maschio di turno, dopo aver affrontato il caro bollette e l’aumento dei contagi Covid, faccia l’analisi di ciò che le donne, secondo lui, pensano, sentono, elaborano. Ergo io ti prego, Homo politicus in special modo: limitati alla solidarietà, a parole illimitata, se ne hai facoltà aiuta concretamente le donne vittime di violenza, in silenzio cortesemente. Noi donne siamo stufe di uomini capaci solo di dare fiato ai polmoni o fare i leoni da tastiera, con le ricettine déjà vu, tutta retorica e zero pratica, per risolvere la violenza. E le molestie!

Per favore, evitate di usarci per la vostra stolta propaganda: non siamo strumento da utilizzare ora contro i migranti, ora contro gli avversari di partito. Ben sappiamo noi donne come veniamo trattate in certi Paesi, dove magari poi voi andate a fare conferenze ben pagate, lucrosi affari o passare qualche giorno di vacanza in resort di lusso. Sappiamo bene anche come veniamo trattate da certi compaesani nostri, dentro e fuori le mura domestiche.

Non si deve dimenticare lo ‘stupro politico’ subito da Franca Rame nel 1973: una spedizione punitiva perversa e senza giustificazioni, seppure lei con il marito avesse avuto delle posizioni ideologiche eufemisticamente inopportune in quegli anni che furono denominati ‘di piombo’. Oltre l’occhio per occhio, dente per dente.

E qui, tornando indietro nel tempo, riemergono fatti che vivaddio non mi hanno traumatizzata molto, ma sono serviti a farmi capire, parafrasando Fiorella Mannoia, quello che le donne, ferite, offese, umiliate, violate, non dicono.

Ebbi un flash, settimane or sono quando è venuto alla ribalta il palpeggiamento della cronista davanti lo stadio: e che sarà mai un palpeggiamento? diranno alcuni testosteronici lettori. Stazione di Firenze Santa Maria Novella, anni ‘70: con la compagna liceale uscimmo dal sottopassaggio per arrivare al binario 13, dove ci aspettava il locale Firenze – Viareggio. Sulla balaustra erano appollaiati due o tre balordi e uno si avvicinò per toccare il sedere all’amica di scuola: non potrò mai dimenticare la labbrata (schiaffone) data a mano piena che lei sganciò in meno di un secondo. Non ci fermammo: avevamo pochi minuti per prendere il treno. Lei era una bella ragazza e i jeans del tempo indubbiamente esaltavano fianchi e lato B. Non vestivamo alla marinara, ma eravamo abbastanza disinvolte seppure l’abbigliamento in genere non fosse triviale come quello che talvolta si vede oggi nelle vetrine e purtroppo anche in giro. Il vestiario, credo sia giusto rimarcarlo, non giustifica certo gli approcci sessuali aggressivi (non si deve dimenticare, nel famoso ‘Processo per stupro’, la frase: lei che cosa indossava?) e se si confrontano gli stili, quelli degli anni ‘70 erano sicuramente più spregiudicati. Noi ragazze eravamo in genere anche più magre delle ragazze millenials, pur se paragoni non se ne possono fare. La mia compagna di liceo era una bella ragazza, bravissima a scuola, non le mancavano flirt e corteggiatori. Riuscì anche ad avere un filarino col ragazzo più ‘bono’ di Montecatini, la consideravo libera ma non libertina com’era invece la bellissima stangona più giovane di me che frequentava l’Istituto d’Arte e che un giorno (eravamo quindicenni e io ero vergine, ma non me ne vantavo) mi confessò che temeva di essere rimasta incinta, ma non sapeva di chi. Eppure, la bella compagna di liceo che aveva mollato lo sganassone aveva un segreto, che un giorno mi svelò: era stata molestata, da piccola, da un amico di famiglia. La storia ebbe un seguito che mi sfugge o forse è meglio dire che ho rimosso, cosa che mi viene facile con le cose dolorose ed ora, grazie all’età, ancor più facile.

Non so dire se fu in quell’anno, era un giorno d’inverno che pareva già primavera e i miei genitori mi consentivano l’ora d’aria con la mia amica coetanea vicina di casa fino in centro per la tradizionale vasca. Ho sofferto la poca libertà, niente discoteca, niente uscite dopo cena, niente motorino, niente uscite con gli amici in macchina. Inutile dire che tante cose le ho fatte lo stesso, di nascosto ed è per questo che non ho mai vietato alcunché a mia figlia che infatti non se n’è mai approfittata, guadagnando viaggi in solitaria all’estero perché provvista di maturità e buon senso. Lei non ha voluto il motorino, ha preso tardi la patente, credo sia stata in discoteca solo una volta. Invece io all’uscita ci tenevo: quel giorno, passeggiando proprio in piazza del Popolo, all’altezza del negozio Neuber un gruppo di ragazzi mi circondò, alzandomi il loden sulla testa e colpendomi ripetutamente. Niente di che, non scapparono neanche anzi, ‘come se niente fudesse’ poco più in là li vidi chiacchierare con una persona che poi scoprii essere un loro professore di liceo. Segnalai a un vigile l’accaduto, ma non tornai subito a casa: a pensarci oggi mi do della cretina. Quando rientrai e qui il ricordo si fa confuso, il mio babbo era già stato avvertito e giustamente mi rimproverò. Poi fu chiamato in Questura perché avevano rintracciato uno dei colpevoli: era il figlio di un professionista di un paese vicino, persona conosciuta, in vista. Ovviamente fu minimizzato il tutto e fu deciso di non procedere a denuncia, liquidando la cosa come una bravata. Ma la cosa che io non ho mai liquidato fu l’atteggiamento del professore (buonanima ora che è morto), che negò di aver incontrato i ragazzi.

A rivederla ora, quella bimbetta sciocca con il loden verde e i pantaloni Sisley taglia 38 senza cuciture laterali con la cintura di Gucci, d’acchito mi fa un po’ rabbia, però poi prevale la tenerezza: presa a pacconi (scapaccioni) da un gruppo di sconosciuti di campagna venuti a fare i ganzi nella cittadina termale dove studiavano. Mi ha fatto effetto dopo, col tempo, negli anni, a ripensarci.

Così come mi fece effetto la reazione violenta di un tizio che bucò uno stop, eravamo entrambi in macchina, e siccome io mi ero permessa di suonare il clacson, lui si piantò con l’auto in mezzo di strada, impedendomi di proseguire, sortì e cominciò a prendermi a calci la portiera, ovviamente offendendomi con tutti i nomi della sua mammina adorata. Era il 1986, era caldo, mio padre stava male ed era in ospedale da mesi. Presi il numero di targa e poi lasciai perdere. Come si fa a non definirle molestie?

Mi fanno effetto le scene di violenza sulle donne, anche nei film, per questo il rivedere ad libitum i video dell’ultimo dell’Anno a Milano mi mette addosso un’angoscia infinita. Quello che voglio dire è che la violenza che si legge sui giornali alla fine tocca tutte noi donne, in un modo o nell’altro: certo, ci sono le sfumature, e bisogna tenerne conto, ma tocca che siano molestie lievi o violenza grave.

Io so, per esperienza professionale trascorsa nelle aule giudiziarie, cosa significhi ascoltare la testimonianza di una donna vittima di incesto, compiuto dal padre perché intendeva ‘iniziarla’ alla sessualità e resto ancora interdetta, ghiacciata, con un senso enorme di impotenza, al pensiero della collega di lavoro che ha avuto il medesimo trattamento da un congiunto stretto e in questo caso senza che quest’ultimo pagasse pegno davanti la dea Iustitia, munita di spada e di bilancia.

Non farò l’errore dei cronisti di oggi, morbosamente attenti ai retroscena e alle indiscrezioni. Quanto ho scritto basta a far capire il perché della mia profonda indignazione.

Voglio chiudere con leggerezza, ripensando a Ursula von der Leyen e al sofà-gate, quel divanetto dove fu relegata a spregio dopo interminabili minuti in piedi, mentre il Gran Turco e l’omino europeo che non sapeva come fare di nome Charles Michel si misero assisi in poltrona. Sono stati brutti episodi e non sono accaduti nel MedioEvo, ma ad aprile 2021. L’indignazione è stata parecchia, ma davvero serve indignarsi ex post? Ne dubito.

von der Leyen uau magazine

Unica certezza, almeno fino ad ora, è che anche i maschi sortono dallo stesso orifizio femminile o, in caso di parto cesareo, da una pancia, ma sempre di donna. Solo le donne, almeno fino ad ora, sanno cosa significa, paradossalmente anche quelle che non hanno avuto figli.

Se nascerai uomo non dovrai temere d’essere violentato nel buio di una strada. Non dovrai servirti di un bel viso per essere accettato al primo sguardo, di un bel corpo per nascondere la tua intelligenza. Non subirai giudizi malvagi quando dormirai con chi ti piace (Oriana Fallaci)

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