Non è UAU

Il Brigidino sbrciolato

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Scritto da Cinzia Silvestri

“As queer as a clockwork orange” tradotto letteralmente “Strano come un’arancia a orologeria” è la frase idiomatica cockney da cui deriva “Clockwork orange” che in italiano sarebbe “Arancia meccanica”. Chi ha letto il libro o visto il film sa di cosa parlo: escludendo il finale, diverso tra libro e film, la trama tratta della violenza o meglio di come un certo tipo di società potrebbe affrontare e risolvere la violenza.

Con altrettanta violenza, con violenta repressione, con violenta rieducazione, con violenta prevenzione? La questione è più che mai aperta e ben lungi dall’essere risolta. Ho scritto già diverse volte sullo sgradito fenomeno del vandalismo giovanile che trova sfogo in larga parte nei beni della collettività e che si trovano soprattutto nei luoghi pubblici. Dove risiedo, il piccolo parco pubblico denominato Fraschetta, che ospita la tradizionale Fierucola e prima della pandemia, accoglieva anche il cinema all’aperto con un chioschino, testimonia quel filo di seta che lega le ragazzate di bimbetti per lo più annoiati e maleducati a fatti ben più gravi che stanno divampando come un incendio nefasto tra la nostra gioventù che magari non è la meglio ma avrebbe tutte le prerogative per esserlo. E invece, invece no. La sto pigliando larga per arrivare ad un punto dolente a cui mai avrei voluto giungere: un brutto episodio di aggressione che ha avuto per vittima un giovane di Lamporecchio, colpito con una spranga di ferro in testa riportando lesioni non di poco conto. Resto sul vago per ovvi motivi di privacy anche se il paese è piccolo e ci vuole poco a far mormorare la gente. Dunque, cosa c’entra la maleducazione e l’inciviltà delle lattine lasciate a due passi dal cestino, il ritrovo di macchine parcheggiate fin dentro il parco, sul prato e le sigarette e le mascherine gettate per terra, il danneggiamento della fontanella di acqua potabile, il fuoco acceso ai piedi d’un antico leccio, evidentemente senza recare disturbo al vicinato che pare non lamentarsi per certe chiamiamole così intemperanze giovanili? Apparentemente nulla, eppure ci sono diversi punti in comune che riguardano per certi versi l’educazione, l’istruzione, il concetto di rispetto, la voglia di trasgressione legittima, l’insofferenza alle regole. Siamo stati tutti giovani e scocciati per le prediche di genitori e nonni, troppo presi dalle nostre pulsioni ormonali, dalla voglia di vivere spesso sopra le righe, provando l’ebbrezza di una canna o di qualche bicchiere di troppo. Non si deve tuttavia commettere l’errore di dimenticare, noi adulti, che siamo stati adolescenti pure noi con le nostre intemperanze e ribellioni. Però, anche se apparteniamo chi più chi meno all’epoca dei figli dei fiori, dei capelloni, del ‘68 e della contestazione studentesca e dell’emancipazione femminile, avevamo – tranne i casi limite ovviamente – una sorta di decalogo non scritto al quale ci si adeguava senza tanti perché. Le ragazze generalmente portavano le minigonne sotto al sedere e fumavano per la strada, ma non bestemmiavano e non facevano branco per spedizioni punitive, semmai si raggruppavano per rivendicare la gestione del proprio utero, mentre i ragazzi uscivano di casa con l’autoradio sottobraccio e il borsello, che non custodiva coltelli e spranghe.

violenza

Le versioni dell’escalation di violenza giovanile possono essere diverse e mutevoli, specialmente se le illustrano sociologi e psicologi o docenti o professori, ognuno con la sua analisi, ciascuno con la sua ricetta risolutiva. Io sono soltanto la madre di una donna che è stata al tempo una ragazza senza grilli per il capo, ritengo di essere stata per questo semplicemente fortunata, sono una zia e potrei essere pure una nonna ed è da qui che intendo partire col mio ragionamento, senza elucubrazioni specialistiche ideali nei talk show. Parlo dunque da mamma, zia e forse un domani da nonna. Il disagio dei ragazzi dell’attuale società civile è palese, qualcuno lo giustifica, non io, ma è indubbio che ci sia e che trovi valvole di sfogo assurde e perniciose. Il disagio è sicuramente aumentato da quando la pandemia li ha chiusi in casa per mesi, questi ragazzi, senza poter andare a scuola, magari chiusi in una cameretta trasformatasi in prigione metropolitana dagli spazi angusti, senza possibilità di uscire, frequentare gli amici, fare attività sportive o altro. Il tempo del lockdown direi che è finito anche se il ritorno alla normalità a mio avviso non è ancora tornato, ma l’inquietudine di vivere non è un fenomeno da virus e si perde nel tempo, da quando l’autorevolezza della famiglia e della scuola è venuta a mancare o perlomeno a diminuire, da quando la società non si è dimostrata poi così accogliente nei riguardi dei giovani (e direi anche dei bambini, ma questa è un’altra storia). La società che parte proprio dal nucleo familiare e si moltiplica attraverso la scuola e le altre attività extra scolastiche non ha saputo adeguarsi alle esigenze di questi ‘nuova gioventù’, parecchio ignorante, parecchio maleducata, che ha riferimenti spesso discutibili, che non sono solo i rapper con certi video che inneggiano alla violenza e cliccatissimi, ma sono anche i nostri atteggiamenti corrotti dal potere, asserviti all’ambizione sfrenata e senza scrupoli etici e morali. I giovani hanno perso il contatto con la realtà per il loro uso distorto dei social, arrivando a confonderli come fosse un mondo reale e viceversa. I risultati sono sotto gli occhi di tutti: certo, hanno ragione a protestare per il mondo inquinato che gli lasciamo noi delle vecchie generazioni, ma hanno torto quando contribuiscono ad avvelenare la terra con i loro rifiuti e a rifugiarsi in falsi ideali ed un metaforico terrapiattismo intellettuale. Non serve Sherlock Holmes per sapere chi lascia sul limitare del bosco sacchetti di rifiuti col marchio del fast food di città o il bricchino del tè o la lattina della bevanda energetica eppoi tante cicche di sigarette, tanti pacchetti vuoti arrandolati dove capita. Viene fatto di chiedersi: ma a casa vostra fate uguale, cari ragazzi, evitate il secchio della spazzatura e gettate tutto per terra, che poi arriva la serva travestita da mamma o da colf che pulisce il vostro sudiciume? E poi, quel parlare da trivio, farcito di bestemmie e parolacce, con una proprietà di linguaggio basica e insufficiente per sostenere un discorso che sia uno, è lo stesso che adoperate in casa, a scuola quando i prof vi interrogano? Quell’atteggiamento da Lorenzo, celebre personaggio di Corrado Guzzanti, che pareva un iperbole ed invece risulta drammaticamente standard stringe il cuore pensando che sarete gli artefici del vostro domani, i protagonisti della società futura.

Il vostro disagio, disagio e non devianza, brutto termine che si presta alle peggiori manipolazioni interpretative elettorali, sfoga talvolta in patologia, ce lo dicono le statistiche, vedi i casi di bulimia e di anoressia in aumento, il ricorrere sempre più frequente alla psicoterapia (e meno male, aggiungo io!), la minore esigenza di un approdo spirituale non intesa certo con la Messa della domenica e l’oratorio, bensì in un avvicinamento alla consapevolezza del sé che invece appare addirittura alienato per la ricerca estenuante di un effimero stordimento. Nella Fraschetta si radunano i ragazzetti con le macchine fin sotto i lecci e le querce, come testimoniano le impronte dei pneumatici, scolando bottiglie di birra e fumando sigarette come al bar, che poi passa il cameriere e pulisce. Nel parco invece non pulisce nessuno e il sudicio resta. Un segno del disagio, un segno sgradevole. Ma son ragazzi, che ni fa? Siamo stati tutti giovani. L’asticella però si alza e dalla semplice prepotenza maleducata sull’ambiente che è di tutti, si passa a metodi che si credeva fossero fenomeni metropolitani, da periferia degradata. Qui purtroppo il fatto di cronaca accaduto appunto a Lamporecchio conferma che l’asticella s’è alzata anche nei paesi dove ci si conosce tutti, siamo poche anime, con tempi meno stressanti e frenetici di Milano o Roma, ma con un mal di campare che ha colpito anche i giovani residenti lamporecchiani. Sono venuta a conoscenza di un terribile episodio di aggressione pochi giorni fa, in via del tutto riservata, accaduto ad un giovane colpevole di aver difeso due ragazze. Storia nota, già sentita questa, di un ragazzo dotato ancora di cavalleria e senso del coraggio. Fa strano però, come l’arancia a orologeria, che per un gesto simile si assista ad una reazione inconsulta, di una violenza assurda, ingiustificabile. Assalire a colpi di spranga una persona mandandola all’ospedale non è la risposta ad un atteggiamento non condiviso, la spedizione punitiva è un non-senso, è un atto di prevaricazione che non ha giustificazioni e nelle sedi giudiziarie non deve avere attenuanti, generiche e non. Qualcuno mi obietterà che è una moda, che oggi usa così: io osservo la foto del ragazzo al pronto soccorso, una faccia pulita deturpata dai colpi ricevuti per aver osato fare qualcosa di sgradito al branco. E il branco chi sarebbe? No, tranquilli, non sono figli dei Casamonica, i loro genitori e i loro nonni sono persone mi verrebbe da dire normali, con una casa, un lavoro, la macchina, le ferie, la spesa al supermercato. Questo indubbiamente spiazza e ci pone altre riflessioni, perché siamo sovente attanagliati dal pregiudizio sulle origini, il background culturale e sociale ed invece un figlio potenzialmente mascalzone ce lo possiamo avere tutti in casa, al giorno d’oggi. Ergo, nessuna meraviglia, nessuna indignazione, nessun dito puntato di fronte alla violenza. Come abbiano reagito sia pure in maniera riservata al momento non m’è dato di sapere: certo è che se fossi un rappresentante delle istituzioni mi sentirei in forte disagio e qui mi taccio e spero che chi di dovere faccia la sua parte, non escludendo una costituzione di Parte Civile in caso di processo. Resta il grande dispiacere per quel volto pulito col capello fluente, deturpato da un occhio tumefatto e dalla maglietta sporca di sangue, ritorna in mente un episodio considerato ragazzata dai genitori dei liceali-bene del quale fui vittima a 14 anni (è trascorso mezzo secolo), a quello accaduto a mia figlia nel 2009 di ritorno dall’università, fortunatamente senza conseguenze fisiche, a quello accaduto ad un mio parente nel maggio 2020 mentre lavorava (e lì le conseguenze ci sono state), ritornano in mente altri fattacci che hanno coinvolto persone che conosco e rifletto. Sono tanti, troppi, e accadono da tanto, troppo tempo: abbiamo imparato ad alzare l’asticella della tolleranza, sbagliando. Guardo la foto di questo giovane del paese dove abito ormai da tre anni e mi si stringe il cuore, come fossi una mamma, come fossi una nonna. Spero non diventi un altro numero statistico, spero che per Lamporecchio resti un caso isolato e che i colpevoli vengano puniti in modo davvero esemplare. Questo giovane ha la freschezza genuina di un buon brigidino e nessuno ha il diritto di sbriciolarlo a sprangate. Abbiamo imparato a tutelare i brigidini, dobbiamo imparare a tutelare i nostri ragazzi dalla violenza e dal fascino per la violenza.

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