Cultura

Il teatro muore, se lo si lascia morire: la parola a Diana, una delle “Sarte di Scena”.

riaprite il teatro
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Scritto da Elena Barbati

Un sipario che sembra non volersi riaprire, quello dei teatri italiani. Abbiamo intervistato Diana Ferri, sarta di scena attiva in prima linea nei movimenti a tutela del teatro e del mondo dello spettacolo.

A cura di Elena Barbati

Ciao Diana, benvenuta su UAU Magazine! Dopo quasi un anno il mondo del teatro sembra sempre più invisibile, abbandonato, dimenticato. E con lui tutti i tecnici e le maestranze che lo rendono vivo. Come commenti tutto ciò?

Noi tutti lavoratori dello spettacolo capiamo e rispettiamo profondamente la situazione di emergenza data dalla pandemia. Nonostante ciò, ho notato che l’applicazione delle norme è effettuato con due pesi e due misure. Le istituzioni purtroppo non valutano la cultura come bene di prima necessità. Fa male sentirsi dire che tanto facciamo divertire. Chi lavora in questo settore ha diritto come tutti gli altri lavoratori ad esercitare la propria professione.

Nello specifico di cosa ti occupi dietro le quinte di uno spettacolo? Ci racconti il tuo percorso professionale e artistico?

Ho intrapreso questo percorso nel 2005, dopo una laurea in storia della moda e del costume. Ho svolto uno stage formativo durante il restauro dei costumi di scena dell’opera lirica La Traviata, dopo il quale mi è stato chiesto di rimanere anche a seguire gli spettacoli come sarta di scena.

È stato amore a prima vista. Ho capito che il teatro sarebbe stata la mia casa.

Sono passati 15 anni da allora e il mio percorso professionale si è molto arricchito. La lirica rimane sempre il mio grande amore, ma lavoro anche per prosa, musical e televisione. Ho avuto anche la possibilità di esercitare la mia professione all’estero in Germania, Austria e Qatar.

Il mio lavoro dietro le quinte è spesso solo la parte finale di un percorso più complesso; noi sarte di scena siamo coinvolte anche nella produzione dei costumi che avviene in teatro o in laboratori teatrali, poi ci sono le prove costume ai cantanti o attori e la conseguente messa a misura dei costumi. Infine si arriva in palco. Questo è il mio momento preferito.

Le prove in palco sono una concertazione di tutte le maestranze presenti. Noi sarte di scena predisponiamo i camerini e i cambi veloci in palcoscenico che per motivi di tempo registico devono essere fatti velocemente, spesso al buio tra una quinta e l’altra. Sembra facile, ma ci vuole tempismo, sangue freddo e spesso anche una buona dose di psicologia. Siamo le ultime persone che l’artista vede prima di entrare in scena. Determinazione, sicurezza e organizzazione aiutano tutto lo svolgimento dello
spettacolo.

Sarte di Scena

Sei una delle Sarte di Scena più attive: con quale esigenza nasce questo progetto?

Il progetto Sarte di Scena è nato prima della pandemia con l’intento di creare una rete di professioniste e permettere di scambiarci contatti e consigli lavorativi. Dall’inizio della pandemia abbiamo compreso che non potevamo aspettare inermi che il nostro lavoro riprendesse. Era forte l’esigenza di tutte di fare qualcosa di attivo. Il gruppo è nato con un ventina di persone ora siamo più di 80, senza contare coloro che seguono la nostra pagina Social.

Gli obiettivi sono molteplici, in primis farci sentire meno sole nell’affrontare questo momento molto critico sia personalmente che professionalmente.

Abbiamo attivato molteplici tavoli di lavoro e facciamo assemblee settimanali in cui discutiamo i vari temi da affrontare. C’è molto rispetto e democrazia, ognuna di noi può portare le proprie criticità e i propri problemi. Parlare dei nostri problemi ci aiuta in qualche modo ad esorcizzarli.

Molte di noi sono attive in coordinamenti territoriali e nazionali di lavoratori dello spettacolo, mantenendo i contatti anche con i sindacati e con le associazioni di categoria, nonché con la stampa. Abbiamo una chat molto attiva: i nostri tavoli di lavoro sono strutturati su vari punti tra cui l’analisi dei CCNL e dei nostri specifici contratti, oltre alla parte comunicativa dei social e dei media. Inoltre produciamo documenti da portare alle varie istituzioni. Mentre una sezione si occupa di archiviare tutti i documenti prodotti, altre si occupano di organizzare e presenziare a manifestazioni e presidi. È quasi un lavoro a tempo pieno. Ma tanto siamo quasi tutte a casa purtroppo, il tempo non ci manca.

Un altro nostro obiettivo importante è quello di far conoscere le peculiarità del nostro lavoro, sia a chi non sa nulla di sartoria e di teatro sia ai nostri colleghi. Spesso veniamo viste come le “sartine” quando in realtà dietro al nostro lavoro c’è studio, esperienza e coraggio di affrontare nuove sfide.

Una delle manifestazioni di protesta del movimento Sarte di Scena

Hai partecipato a molte iniziative e manifestazioni di protesta, a tutela dei lavoratori dello spettacolo. Prima tra tutti ricordiamo Bauli in Piazza a Milano. Che atmosfera si respira in queste occasioni?

Bauli in piazza è stato l’evento “mainstream” del nostro settore, forse quello che ha ricevuto più rilevanza mediatica. Ciò dimostra che gli organizzatori che lavorano in questo settore hanno un livello di professionalità altissimo. Oltre questa bellissima iniziativa, ci tengo a ricordare che sono parecchi mesi che scendiamo in piazza per manifestazioni più mirate. Sia a livello territoriale – davanti alle sedi territoriali dell’INPS, davanti ai teatri, davanti alle sedi delle regioni – sia a livello nazionale, come ad esempio la concertazione di manifestazioni delle lavoratrici e dei lavoratori dello spettacolo tenutasi il 30 maggio in 14 città italiane in contemporanea. Ricordo anche quest’estate a Roma alla Manifestazione Nazionale o ancora a Venezia in occasione del Festival del Cinema.

Il clima che si respira è un misto di rabbia e di forza.

Rabbia, perché il sentimento comune è quello di apparire invisibili, dimenticati dalle istituzioni. Forza, perché il veder scendere in piazza le colleghe e i colleghi, vedere i loro occhi pieni di determinazione, mi fa sentire parte di una categoria che combatterà
con le unghie e con i denti pur di non scomparire.

Il 18 aprile 2020, in pieno lockdown, il ministro del MIBACT Franceschini ha dichiarato di voler dar vita ad un Netflix della Cultura. Per quanto riguarda il teatro, è possibile rendere una dimensione così reale, il téathron – il luogo dello sguardo, del pathos, della katharsis greca – attraverso il digitale? A proposito della proposta del ministro Franceschini, ci sono state delle iniziative o novità?

Forse il nostro caro ministro non sa che il Netflix della cultura esiste già ed è a disposizione gratuitamente a tutti i cittadini. Si chiama RAI 5.

Poi, come dici tu, lo spettacolo dal vivo ha una dimensione reale e questa non può essere trasmessa sullo schermo, si perde nell’etere.

Detto questo, lo streaming negli ultimi mesi è stato uno strumento fondamentale per permettere di realizzare delle opere liriche (penso al Teatro Municipale di Piacenza, al Comunale di Modena, al Teatro Donizetti di Bergamo) permettendo a molti lavoratori di esercitare la propri professione e al pubblico di godere della lirica anche in “non presenza”. La proposta del Ministro Franceschini del Netflix della Cultura sta già avvenendo, senza il bisogno di una piattaforma ex novo che sta suscitando molti dubbi a livello parlamentare e mediatico. In conclusione, penso che utilizzare il filtro dello schermo per spettacoli dal vivo vada bene unicamente in un periodo di estrema emergenza. Non deve assolutamente diventare l’unico futuro possibile per il nostro settore, e neppure quello che riceverà maggiori finanziamenti.

Secondo un’indagine svolta dall’Associazione Generale Italiana dello Spettacolo, il teatro è un luogo sicuro. Dal 15 giugno, giorno della ripartenza dopo il lockdown, c’è stato un solo caso di contagio da Covid-19. E non è un dato che stupisce, data l’estrema attenzione che i teatri italiani, privati e pubblici, hanno dedicato per seguire tutti i protocolli: distanziamento in sala, capacità ridotta, autocertificazioni all’ingresso, bar chiusi oppure con limitazioni, uscite contingentate. Tra i primi a chiudere, però, anche in questa seconda ondata, c’è stato proprio questo settore. Perchè, secondo te, è così poco tutelato?

contagi teatro
Numero dei Contagi nei Teatri – fonte: Agis

Più che di poche tutele, si tratta di totale disinteresse per il comparto spettacolo e cultura da parte delle istituzioni. Parlo di spettacolo dal vivo, ma anche di musei, centri espositivi, biblioteche. Purtroppo non solo le istituzioni mostrano disinteresse, ma anche molti cittadini. Ci si sdegna del fatto che il centro commerciale sia chiuso nel weekend. In pochi che non sono del settore si sono indignati del fatto che la Pinacoteca di Brera sia chiusa.

Tutto ciò è molto sconfortante, ed ho paura che quando finalmente i luoghi della cultura riapriranno, le persone andranno nuovamente rieducate al concetto di bello.

Una polemica recente è quella relativa agli spettacoli in televisione, dove il pubblico in sala è presente, seppur distanziato e/o separato da divisori in plexiglass. L’indignazione è nata da una domanda. Perchè le reti televisive possono permettersi di svolgere i propri spettacoli con il pubblico e ai teatri è vietato di riaprire?

Per due motivi. Il primo è che la televisione continua a funzionare senza “obblighi di chiusura” perchè è uno strumento che appiattisce il pensiero critico e rende malleabili le masse. Il teatro al contrario accende la coscienza critica portando le persone ad avere un proprio pensiero. Il secondo motivo è meramente economico: la televisione ha i soldi. I teatri, tranne quei pochi che hanno accesso al FUS (Fondo Unico per lo Spettacolo) possiedono a malapena la liquidità per poter pagare l’affitto e la manutenzione ordinaria, figuriamoci i tamponi per il pubblico. Parlo dei teatri privati, dei teatri di provincia, delle associazioni culturali e di tutto quel substrato culturale che rende ricco (spiritualmente e socialmente) il nostro paese.

C’è anche chi ritene che il teatro, essendo un settore già da anni purtroppo in crisi, non morirà per il covid, ma a prescindere da esso. (Noi tutti ci auguriamo proprio che non sia così). La cultura del teatro si sta perdendo in Italia? E se sì, perchè non viene più apprezzata come un tempo?

Il teatro muore se lo si lascia morire.

Bisogna sempre investire nell’educazione al bello. Bisogna educare alla cultura sin da bambini e spegnere tv e telefoni, insegnare teatro, musica e arte nelle scuole. Purtroppo negli ultimi anni abbiamo assistito ad un abbassamento culturale delle persone. Persone sempre più abiurate a una fruizione mordi e fuggi, dettata da una politica culturale che ha favorito un certo tipo di intrattenimento di dubbio gusto. La concezione che il teatro e la cultura siano un bene per pochi eletti, per una classe media colta è purtroppo sempre più radicata, ma è profondamente fuorviante.

teatro

Credi che la mobilitazione a favore dei lavoratori dello spettacolo abbia instaurato un rapporto di vicinanza ed empatia con il pubblico? Quando finalmente si potrà, pensi che ci sarà ancora più voglia di tornare in platea, nei palchetti e sotto il palco per assistere agli spettacoli?

Sono convinta che a tornerà in teatro chi prima già lo frequentava. Ti faccio un esempio pratico, accaduto a Parma, è una città molto legata al suo teatro e alle sue ottime (Pre Covid) proposte culturali. In occasione del presidio davanti al Teatro Regio di Parma, svoltosi ad agosto per denunciare la “falsa ripartenza” delle stagioni lirico sinfoniche. Stavamo volantinando davanti al teatro quando si sono avvicinate delle signore che ci hanno confidato – quasi con timidezza – che il teatro mancava loro molto. Denunciavano che “non c’era più niente di interessante da vedere”. In questi mesi di mobilitazioni abbiamo raccolto tantissime testimonianze e supporto da parte del pubblico e questo ci ha dato molta forza come movimento. Senza il pubblico noi non esistiamo, quindi un passo fondamentale è coinvolgerlo nella nostra lotta. Quando parlo di pubblico non intendo solo quello delle grandi occasioni, ma soprattutto quello delle realtà più piccole.

Nei piccoli comuni, nei teatri di provincia, degli spettacoli nelle scuole, nelle carceri, nelle realtà di disagio sociale. É lì che il teatro può portare un sostegno fondamentale, gioia, vita.

Concludiamo quest’intervista così: qual è, tra quelli emersi negli ultimi mesi durante le manifestazioni di protesta, lo slogan che ti rappresenta maggiormente?

Non cuciteci la bocca.

Mi piace perché rappresenta tutta la lotta fatta come lavoratrici e lavoratori dello spettacolo, un inno a farci parlare e soprattutto ad ascoltarci. Poi il fatto di usare un verbo tipico della nostra professione lo rende ironico e di impatto allo stesso tempo.

Grazie Diana, noi vi auguriamo un enorme in bocca al lupo! Perchè la cultura, il teatro, lo spettacolo non devono morire.

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