Cultura

Ipocrisia versus eutanasia

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Scritto da Cinzia Silvestri

La casalinga del Montalbano ha scattato una foto giorni or sono, colpita da un’esplosione di mimosa dietro una curva, accanto alla quale c’era una colorata distesa di panni appesi a un filo ad asciugare, come usava un tempo quando le asciugatrici, oggi tornate ad essere un lusso considerate le bollette di energia elettrica, non erano state inventate. L’allegria provata per quella biancheria che sapeva di pulito e di buono ha lasciato il posto ad un’immagine al contempo metaforica e mesta assai. La nostra donnina di campagna ha dato un nome a quelle camicie, maglie, pantaloni e pure al filo per stendere i panni al sole. Ogni nome suscitava in lei ignominia e dispiacere, perchè di certo non mettono allegrezza il disagio dei giovani, l’abbandono degli anziani, la brutalità sulle donne, la pedofilia, la malvagità perpetrata sugli animali. Tutte cose messe una accanto all’altra, con i nasini (ganci) messi a modino. Eppure, a tutte queste brutture qualcuno ha provato per così dire a metterci una pezza, a farci un rammendo, un rattoppo, con qualche leggina raffazzonata magari in occasione dell’ennesima tornata elettorale, oppure per fare audience in qualche trasmissione televisiva (salvo quelle dal titolo meteorologico con invitati dei piani alti e interviste concordate fin nei sospiri). Vedeva però la nostra casalinga in quel maglione inteccolito (rigido) non si capiva bene se per colpa del freddo o di un lavaggio distratto, un abbinamento alla peggior vergogna del tempo: il cinico, pressochè chirurgico menefreghismo per l’eutanasia.

eutanasia

Quel maglione, che un tempo ben lavato e stirato avrebbe potuto riscaldare tante anime con e senza Dio, adesso in balia dell’onnipotente Parlamento, erano rigidamente abbandonate dentro un corpo ormai estraneo, senza libertà di parola perchè magari perduta con l’aggravarsi della malattia, con la dannazione di un cervello e un cuore funzionanti imprigionati in una gabbia di pregiudizi assurdi imposti da altri. Quel maglione che poteva accompagnare chi non ha più speranza di vivere una vita dignitosa e di far vivere chi bada con amore chi è afflitto da patologie implacabili una vita altrettanto dignitosa, è diventato un infeltrito cencio senza sostegni dignitosi, che confida spesso soltanto nell’aiuto di congiunti e persone (magari anche delle istituzioni) di buona volontà. L’eutanasia legale pare dunque un miraggio, nell’Italia delle mascherine, chirurgiche, carnascialesche, di convenienza sociale: fa comodo pensare che la colpa sia (solo) del Vaticano, ma l’avversione religiosa è soltanto un aspetto e di certo non quello più determinante, alla fine. La Consulta ha detto no al referendum sull’eutanasia legale (https://referendum.eutanasialegale.it/): alla casalinga del Montalbano già faceva specie che un tema come quello del fine vita fosse stato sottoposto alla Corte costituzionale insieme alle canne e alle toghe. Di più: le faceva proprio schifo che si dovesse scomodare una povera ignorante come lei per decidere sul da farsi col voto, perchè lei era ben consapevole che esiste un posto chiamato Parlamento dove vagano uomini e donne pagati profumatamente per legiferare in nome del popolo italiano. La domanda dunque sorge spontanea: perchè finora non è stato fatto? La stessa Corte 40 mesi fa, quaranta in lettere rende meglio l’idea, aveva espressamente chiesto ai parlamentari di darsi una mossa, alla luce dei casi, uno via l’altro, con i quali veniva gridato il diritto a una morte dignitosa, per non proseguire una vita senza dignità.

Ma come fa a capire cosa sia la dignità nell’esistenza chi la dignità non ce l’ha, come dimostrano taluni onorevoli senza onore che il popolo italiano inopinatamente ha messo a ceccia in comodi purpurei scranni?

Una certa Italia è Paese che non concede la benedizione in chiesa alla salma di Piergiorgio Welby, ma che concede comizi con la Coroncina in mano, una certa Italia è Paese che mal sopporta i migranti (e sovente non a torto) ma su di essi ha creato un business milionario, squisitamente e furbescamente made in Italy: una certa Italia è Paese della contraddizione politica che difendere feti e vite ormai non più tali, lasciando che altre vite cosiddette extracomunitarie trovino il proprio camposanto in mezzo al mar.

Una scena di Mare Dentro (Mar adentro) film del 2004 diretto da Alejandro Amenábar

Dunque esiste un filo dove vengono stesi tutti questi panni ahimè, sospira la casalinga del Montalbano, ancora macchiati di sporco impossibile: il filo dell’italica ipocrisia. Dobbiamo sopportare rappresentanti di partiti che confondono l’eugenetica con l’eutanasia e manco si vergognano anzi; dobbiamo sopportare di non essere curati o essere curati male, trasformando il diritto alla salute in optional, ma non abbiamo diritti sulla nostra vita. Se ne prendono cura e vediamo bene come, i nostri legislatori, con un’ampia dimostrazione di protervia, incompetenza e anche malafede a uso elettorale. Per chi soffre in terra le pene dell’inferno, applicano il fine pena mai, un tempo riservato agli ergastolani (razza estinta). O meglio, riflette la nostra montalbana casalinga, si applica solo per i povericristi, perchè chi se lo può permettere si concede un viaggio di sola andata in Svizzera, dove li l’eutanasia è legale, e tanti saluti, ai legislatori, alla Consulta, agli integralisti religiosi, agli ipocriti che millantano di difendere la vita. I sempiterni furbi, non di rado opportunisti della peggior specie. Non ci sono loro appesi su quel maledetto filo dell’ipocrisia, non lo sanno cosa significa essere dentro un corpo che non ti appartiene più, che resiste per accanimento terapeutico fisico e psicologico. Hanno avuto il coraggio dall’emiciclo parlamentare di lanciare strali su Beppino Englaro, padre di Eluana, che ha combattuto per 17 anni un battaglia d’amore, a-m-o-r-e, e dignità per sua figlia. Nessuno in Parlamento evidentemente era padre o madre o figlio o amico di persone come Eluana: “vi farei provare”, e poi la casalinga si pente che le sia balenata un’idea simile. Il male non si augura a nessuno, tuttavia credere nel karma aiuta.

La mancata legiferazione sull’eutanasia dimostra quanto poco rispetto in realtà vi sia sull’umana esistenza e ancora meno sulla morte. Del resto, la pandemia è lì a ricordarci chi è morto solo in ospedale o in un ricovero per anziani, forse accompagnato da una carezza di un infermiere o di un dottore stanco eppure ancora amorevole e conscio della sua missione. Come deve essere difficile ‘lasciar andare’ la vita, nella sofferenza e nella solitudine, senza il conforto di uno sguardo affettuoso, di una mano filiale! Questo tuttavia lo abbiamo accettato, specialmente se non è toccata a noi l’esperienza di avere un congiunto in un letto d’ospedale senza la possibilità di potergli parlare o almeno di vederlo. Le file di camionette militari contenenti bare, dicono i negazionisti, erano una finzione. Negare è una posizione più comoda, negare, negare financo l’evidenza del dolore, quello che non si placa neanche con la morfina. Negare la condizione disumana dell’impotenza atroce di non essere più padroni del proprio corpo, quello che è servito per camminare, fare l’amore, fare figli, lavorare, ballare. Quello che è servito semplicemente per vivere. Il padrone di un corpo inerte è oggi uno Stato inerte, se non addirittura nemico.

Per la casalinga del Montalbano è arrivato il momento di ritirare quei panni stesi e cambiare il filo: occorre biancheria nuova, i capi da sventolare al sole e al vento si chiamano civiltà, dignità, consapevolezza, rispetto, etica, morale.

Il filo universale lei lo chiama amore. Amore per la vita, quella degna di essere vissuta.

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