Il primo che tira in ballo il razzismo si prende un vaffa da fare invidia al Beppe Grillo dei tempi d’oro. Si, perché se una famiglia di rom occupa abusivamente la casa di un pensionato momentaneamente assente (magari perché è in ospedale oppure a trovare il figlio che lavora 500 km di distanza), parlare di razzismo equivale ad intestarsi la patente di imbecille.

Ecco perché non tollero chi giustifica gli autori di queste ‘imprese’, magari adducendo a scusa ulteriore il secolare retaggio culturale rom che legittimerebbe l’occupazione abusiva, il furto degli oggetti personali e magari la devastazione di mobilio e servizi quando la forza pubblica, dopo un iter burocratico da odissea nello spazio, riesce finalmente a fare il proprio dovere e restituire l’appartamento al legittimo proprietario, il quale non sarà mai comunque risarcito per i danni morali e materiali subiti e chiaramente amplificati dallo stato di debolezza fisica e psicologica rivenienti dall’età e, spesso, dalla solitudine.
Ma i rom vanno protetti da questa società razzista e xenofoba, dice qualcuno. Ok, ma siamo sicuri che la soluzione sia permettere loro di delinquere? Siamo sicuri che sia giusto tollerare comportamenti che non riterremo accettabili se commessi dai nostri connazionali? A parte l’evidente violazione dei principi costituzionali, che non ammettono distinzioni di razza o religione e ci vogliono tutti uguali di fronte alla legge, all’ordine pubblico ed al buon costume, viene da chiedersi a cosa giovi questo bisogno di tollerare l’intollerabile se non a nascondere l’incapacità cronica della nostra classe dirigente a mettere in essere percorsi realmente inclusivi per le comunità che vantano storie e culture diverse dalle nostre. Perché qui, si badi bene, non si tratta di fare genocidio culturale, non stiamo giocando ai cinesi che asfaltato il Tibet, ma semplicemente si tratta di far capire alla comunità rom che la legge dello Stato è uguale per tutti, anche per loro, e che non rispettandola, fatalmente, sono loro stessi ad escludersi da qualsiasi integrazione e non certo noi a discriminarli.
O vogliamo forse tornare al medioevo, quando le leggi valevano per alcuni ma non per tutti? Perché allora, se riconosciamo ai rom di comportarsi secondo la loro legge, non vedo il motivo di vietare a turchi e giapponesi di fare lo stesso e magari (perché no?) non si dovrebbe escludere ai discendenti degli antichi longobardi di rispolverare l’editto di Rotari, con tanto di conversione in euro dei valori del guidrigildo previsto per ogni singolo reato. Vogliamo questo? Siamo sicuri?
Il fatto è, cari sostenitori del multiculturalismo che il vostro relativismo radical chic è talmente figlio del 6 politico post sessantottino e preanalfabeta da non capire cose semplici ed elementari, tipo ad esempio che il termine ‘progressista’ di cui voi vi fregate deriva dal termine ‘progresso ‘, cui la vostra idea di società permissiva e sbarcata è distante grossomodo quando Cristiano Malgioglio dal concetto di virilità.

Ed ora prendetevi il carico da undici: lo sapevate che uno dei più importanti Imperatori romani, ovvero Settimio Severo, era un nero? Se non lo sapevate, non è perché i romani lo abbiano nascosto (e del resto non si vede come) ma solo perché egli era ‘culturalmente ‘ romano, cioè pensava e viveva esattamente come qualsiasi cittadino romano. Era la forza inclusiva di una grande cultura che è stata alla base di un grande impero, che noi abbiamo sostituito con un pensiero debole da Caduta di casa Usher.
Quindi, cari signori, smettetela con le menate sul razzismo, perché nessuno contesta ai rom di essere rom. Semplicemente, la nostra legge è la nostra cultura ci dicono che è male vivere rubando ed occupando abusivamente le case altrui invece di andare a lavorare, senza dimenticare che per noi i bambini devono andare a scuola e non a chiedere l’elemosina sui marciapiedi.
E dunque, cari rom, se vi piace è così e se non vi piace è così lo stesso.
S. Del Giudice