Cultura

Il baraccone scalcinato del Paese che non c’è

sanremo
avatar

Certe volte, bisogna farsi violenza e verificare, affinchè le convinzioni non degradino a pregiudizi. Si tratta di una regola di buon senso, valida in ogni campo, ma quando si tratta di Sanremo è inevitabile sentirsi un po’ martiri e scambiare il buon senso per stoicismo.

Esagero? No, perchè se ogni anno il quadro di Sanremo peggiora, quest’anno il livello scende a profondità abissali: tralascio sulle trovate del solito Fiorello, messo lì a riempire il nulla cosmico di una kermesse senza pubblico e soprattutto senza canzoni degne di questo nome, e punto il dito sugli aspetti musicali, ormai talmente scadenti da far nascere anche nei conduttori la tentazione di nasconderli sotto una tessitura da varietà di provincia.

Della musica a Sanremo, come detto, resta poco! Non un solo brano che catturi l’attenzione, che conquisti se non altro per un’idea originale. Si alternano tentativi di canzonetta melodica senza melodia, rime simil rap/trap senza capo né coda, chiome tinte, tatuaggi e molta stanchezza.

Se ripenso ai Sanremo che vedevo da bambino, Mino Reitano e Nicola Di Bari mi sembrano oggi giganti del pentagramma in confronto a questa banda di scappati di casa e mi tocca persino rimpiangere le edizioni del Pippo Baudo nazional popolare che magari ti teneva lì due ore con sermoni interminabili ma almeno invitava i Dire Straits e si concedeva persino l’ospitata dei famigerati Bad Manners (ve li ricordate? Erano un gruppo Ska, il cui cantante Fatty Buster mostrava al pubblico le chiappe
flaccide al termine dell’esibizione!).

sanremo

Detto questo, se invidio a Dagospia la battuta su Noemi (da buzzicona a Jessica Rabbit) non posso non individuare tutta la miseria di questo Festival e la sua allucinante povertà creativa nel cavallo di razza Achille Lauro, ospite fisso e senza voce che si è presentato con un look scopiazzato malamente dai vecchi video di Renato Zero e con testo che è la rivisitazione in chiave truzza del ben più profondo “La favola mia”.

La tragedia, perchè di questo si tratta, si compie nel momento in cui, impegnato in una patetica performance da “glamour de “noartri”, il nuovo idolo della musica italiota si lascia sgorgare dagli occhi e dalla bocca rivoli di sangue finto che solcano la maschera di finta sofferenza interpretativa: in pratica, se il glamour non basta a riempire il vuoto,
eccovi servito il trash, omaggiato dagli applausi finti legittimati, almeno per quest’anno, dalla mancanza del pubblico.

sanremo

Non un vero festival, insomma, ma un baraccone scalcinato dove nani, pupi e ballerine ostentano una trasgressione genuina come un pollo di allevamento e dove non vi è traccia alcuna di collegamento con la realtà.

pupi

Qualcuno forse ha parlato di un Paese che sta male? Qualcuno ha accennato seriamente al disagio di generazioni sospese fra pandemia e crisi economica? Vabbè, forse Amadeus e soci si illudono che basti chiamarsi “Stato sociale” per raccontare un’Italia alla deriva, ma fra la povera Bertè agghindata come la vispa teresa (a proposito: requiem per un’artista) ed il Fedez miliardario e fuori tempo che sembra il tatuaggio di se stesso, ho quasi il sospetto che le immagini di ieri sera non siano arrivate da questo porco mondo, ma dalla sonda che trasmette da Marte!

sanremo

Insomma, senza pretendere gli Idles, gli Anxiety o gli Sievehead, mi sarei accontentato di un Garbo di “ Radioclima” o forse perfino del facile “ Sonnambulismo” dei Canton, ma comunque di unminimo di musica , di intensità interpretativa e magari anche di una scrittura un po’ consapevole.

E invece niente, il nulla del nulla, qualcosa di inapprezzabile come la ventilazione a Marassi nelle cronache di Sandro Ciotti che ti fa capire che il mare è ancora più profondo di quello che pensava il defunto Dalla.
E non resta che il riassunto di una serata più allucinante dei personaggi di Trainspotting: dopo lunga e penosa malattia, si è spenta la tv!

Stefano Del Giudice

Sending
User Review
5 (1 vote)

Scrivi un commento