Come si produce un’opera d’arte
Vi sarete sicuramente già imbattuti in tante, forse troppe, opinioni riguardanti il film di Julian Schnabel, “Van Gogh – Sulla soglia dell’eternità”. Come avviene in modo quasi automatico quando si tratta di film molto discussi o molto attesi, la critica si è divisa in due schieramenti diametralmente opposti: chi ha adorato il film e chi lo ha odiato. Difficile ovviamente mettere d’accordo tutte le aspettative. Senza dubbio quelli che sono rimasti più delusi sono stati coloro che si aspettavano una sorta di film-documentario sulla vita di Van Gogh, cosa che il film non rispecchia nemmeno un po’. Appurato questo, io ero curiosa di conoscere, più di tutte le altre, l’opinione di una persona e quando l’ho ascoltata mi ha convinto talmente tanto che sono qui a raccontarla.
Avevo già parlato di Elisa Salvicchi in merito al suo blog di viaggi, arte e fotografia, Tippytoe. Prima di iniziare, una premessa è d’obbligo.
Quando siamo piccoli, tutti sogniamo di diventare “qualcuno” da grandi, chi l’astronauta, chi un veterinario oppure un archeologo. Elisa sognava di essere un artista. Si immaginava in una mansarda a Montmartre, sognava le ninfee di Monet, ma più di tutto sognava Vincent Van Gogh. E così, cresciuta nel mito di un artista la cui genialità sfociava nella pazzia, all’uscita di “Van Gogh – Sulla soglia dell’eternità” non poteva certo non andarlo a vedere. Sul suo blog Tippytoe, racconta di come ha scelto con cura e attenzione il cinema giusto e di come si è preparata a immergersi e a godersi a pieno questa esperienza.
Una volta iniziato il film, mi racconta che immediatamente resta colpita dall’estrema, quasi irreale, somiglianza di Willem Dafoe con Vincent. Il volto scavato, gli occhi scintillanti, la barba rossa: in ogni momento è come se Dafoe ponesse lo spettatore davanti al celebre ritratto. L’attore ha 67 anni, Vang Gogh muore a 37. Questa scelta mette in evidenza come l’artista, nonostante la sua giovane età, avesse un corpo usurato e sciupato rispetto ai suoi coetanei, tanto da scegliere per interpretarlo un attore molto più grande. La bravura di Dafoe è a dir poco disarmante, lascia sconvolti. Non si può dire altrettanto del regista. Julian Schnabel, innanzitutto, è un pittore ed è evidente come questo abbia influito, perché ha cercato di riprodurre il film non come se fosse l’opera di un regista, ma come se fosse un’opera pittorica. Il film mostra come si produce un’opera e quali sono le sensazioni e i momenti che la accompagnano. Ad esempio l’ondeggiare della cinepresa, come se fossero pennellate quando tira vento. L’intento sembra proprio quello di mostrare come Van Gogh produceva le sue opere, ma è come se il regista non fosse riuscito fino in fondo perché mostra soprattutto come un’artista, in generale, produce un’opera. Non Van Gogh.
Van Gogh aveva una personalità che andava per immagini contrastanti, con fortissimi sbalzi; aveva un rapporto carnale con il fratello, che nel film si vede ma risulta molto piatto. Anche il rapporto viscerale con Paul Gauguin, pieno di liti e contrasti passionali, non viene reso a pieno. Era un pittore estemporaneo, frenetico, un pittore consistente che adoperava materia: non dipingeva, scolpiva. “Non ho visto scolpire nel film, non ho visto passione, contrasti forti, né tutti questi alti e bassi. Il film risulta molto piatto, lento”.
Sembra che Schnabel si sia addentrato in qualcosa di più grande di lui, che riesce ad abbozzare ma che non colpisce fino in fondo. Non riesce a far vedere la visione di Van Gogh, come lui produceva le sue opere, ma dà una visione soltanto generale di come si produce un’opera d’arte.
Trovate l’incipit sul blog Tippytoe.
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