La mostra “A Visual Protest. The Art of Banksy” esposta al MUDEC di Milano fu un evento più unico che raro. Erano già state organizzate mostre, per lo più presso spazi espositivi, dedicate a Banksy, artista e writer inglese la cui identità è tutt’ora sconosciuta, ma mai un museo pubblico italiano aveva prima d’ora ospitato una sua monografia. Il MUDEC- Museo delle Culture di Milano ospitò una retrospettiva sull’artista inglese, considerato uno dei maggiori esponenti della street art contemporanea. Fu un progetto espositivo a cura di Gianni Mercurio che raccolse dipinti, oggetti, fotografie e video, memorabilia (tra cui adesivi, stampe, flyer promozionali) e addirittura copertine di vinili e cd musicali disegnati dall’artista, con l’intento di raccontare attraverso un percorso insolito, ma che per alcuni versi potremmo considerare anche accademico, la storia dell’arte e del pensiero di Banksy. Ovviamente, come per tutte le altre mostre a lui dedicate, anche questa non ricevette l’autorizzazione dell’artista, il quale con questa formula da sempre continua a difendere fermamente non soltanto il proprio anonimato, ma anche la propria indipendenza rispetto al sistema.
Il messaggio che Banksy esprime attraverso le sue opere è un’esplicita e aggressiva provocazione nei confronti del potere, del conformismo, della guerra e del consumismo. Questa specifica mostra fu suddivisa in base a questi grandi temi: ad esempio, vi fu la parte dedicata alla guerra, che più che un impegno politico è una guerra culturale contro la guerra stessa e contro le logiche che la originano; la sua è una posizione umana a 360 gradi per mezzo della quale invita alla resistenza, vissuta come l’unico modo per opporsi.
Un’altra sezione fu dedicata al tema del consumismo, in particolare al mercato dell’arte, i cui consumatori sono spesso privi della capacità critica necessaria per comprenderla. Nel 2013, per denunciare le assurdità del mercato dell’arte nel valutare le opere (comprese le sue), arrivò persino a mettere in vendita, per strada, alcune delle sue opere stampate al prezzo di 60 dollari: i fortunati e inconsapevoli acquirenti capirono soltanto il giorno dopo l’entità di ciò che avevano acquistato, quando Banksy pubblicò un video online. Oggi quelle opere sono valutate intorno ai 20.000 dollari.

Un altro gruppo di opere è quello che rappresenta i ratti, che si ritrovano un po’ in tutta la produzione e che sono diventati quasi la sua firma artistica. Si dice che “i topi stanno a Banksy come le lattine di zuppa Campbell’s stanno a Andy Warhol”. I topi assumono una dimensione metaforica per l’artista: sono odiati e perseguitati, al contrario degli uomini si muovono ispirati sempre da una logica collettiva, vivono in aree degradate e abbandonate, si muovono di notte, ma sono anche in grado di mettere in ginocchio tutta la civiltà… un po’ proprio come i graffitisti.
Sembra che Banksy si ispiri molto al lavoro dell’artista di strada francese Blek Le Rat, considerato uno dei pionieri della street art e da cui ha ripreso appunto l’idea del topo (rat, in francese). Da lui riprende anche la tecnica che usa per dipingere, lo stencil (una maschera per riprodurre più volte le stesse forme): Banksy, infatti, non dipinge direttamente sui muri, ma prepara il lavoro in studio con stencil disegnati a mano o stampati, che poi ritaglia e affigge tutti assieme. Questa tecnica gli permette di essere molto più veloce ed è il segreto del suo essere inafferrabile. Lui stesso dichiara di appartenere alla corrente dell’existencilist, che è un gioco di parole tra “esistenzialismo” e “stencil”.
Ci sarebbero un altro milione ancora di cose da dire su Banksy, da raccontare, da scoprire e su cui riflettere. Mi limiterò a concludere con le due cose che mi hanno maggiormente colpito di lui con riferimento alla mostra in oggetto. La prima è la semplicità: Banksy è in tutto e per tutto un genio, su questo non c’è dubbio, e le sue opere ne sono la prova tangibile, ma le metafore dietro alle sue immagini sono cosi brillanti e allo stesso tempo talmente semplici e accessibili che non serve nessun tipo di conoscenza, nessuna particolare sensibilità per comprendere il messaggio che vuole trasmettere e chiunque a modo suo può sentirsi parte di questa lotta. La seconda cosa è la presenza dei bambini, così costante, così velatamente urlata che destabilizza. In mezzo a tanta violenza e tanta degradazione, sembra che soltanto i bambini possano essere eroi, con la loro tenerezza e la loro ingenuità; eroi ai quali affidare un messaggio di speranza.
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