Questa mattina ho ascoltato alla radio l’intervista ad un tecnico, non so il nome, sul tema dell’energia, che in modo semplice ma a mio modesto avviso molto esaustivo spiegava quanto le scelte comode recenti e remote fatte dall’Italia, e dall’Europa, ci abbiano messo a culinterra o a buo pillonzi, fate voi. Abbiamo scelto il no al nucleare (anche io, sull’onda emotiva di Chernobyl) e aver mollato tutto significa, se tutto va bene e volessimo tornare al nucleare, aspettare almeno altri 15/20 anni per realizzare una centrale: i politici lo sanno? Parrebbe di no a sentirli ragionare.

Abbiamo però pagato saporita l’energia comprata dagli altri Paesi e derivata proprio dal nucleare che nel frattempo (qualche decina d’anni) s’è evoluto anche in termini di sicurezza, un po’ come è successo ai nostri elettrodomestici di casa, ma più in grande. Abbiamo scelto il no alle trivelle (anche io, perchè in un bacino piccolo come l’Adriatico temo produca danni all’ambiente marino): nello stesso specchio di mare tranquillamente la Croazia trivella e produce energia per casa sua. Diciamo no al rigassificatore a Piombino, mentre a Ravenna funziona e Ravenna non è Repubblica di San Marino. Diciamo no al termovalorizzatore, perché pare più etico ed ecosostenibile pagare fior di quattrini un Paese straniero che prende la nostra spazzatura e magari ci fa un doppio guadagno riciclandola pure. Tentenniamo sulla questione dei rifiuti e vediamo città come Roma e Napoli (ma anche altre) offrirsi a residenti e turisti come discariche a cielo aperto, a disposizione di ratti e cinghiali che ringraziano per i lauti pasti: tutto questo è tollerato dai cosiddetti ambientalisti.
Diventa un caso un concerto di Jovanotti, che non è certo il mio artista preferito ma che indubbiamente è diventato un perseguitato, forse perché l’Italia piccina e provincialotta non perdona l’altrui successo. Se questi concerti sono un dramma per l’ambiente perchè dare il permesso? Negatelo, ma dappertutto e assumetevi la responsabilità di fronte al pubblico pagante e a coloro che ci campano con questi tour (montatori, elettricisti, addetti alla sicurezza, bibitari ecc.).

Chi abita nei Paesi del nord Europa si meraviglia dei pochi tetti provvisti di impianto fotovoltaico in Italia: ci ride pure, pensando a quanto sole splenda nella nostra nazione. Il fotovoltaico sarebbe nell’immediato una risposta ecosostenibile e consapevole al bisogno di energia delle aziende e delle famiglie, ma non esiste una adeguata incentivazione all’acquisto e soprattutto c’è una burocrazia amministrativa, che peraltro cambia da comune a comune, che toglie la voglia anche solo di chiedere informazioni sull’installazione. Ecco, questi sono i primi esempi che mi vengono a mente, adesso che dopo mesi e ben prima della guerra in Ucraina, era già scattato l’allarme sull’approvvigionamento di energia. Abbiamo favorito le lobbies che gestiscono gas e luce e acqua, consentendo loro guadagni sconsiderati e direi tutt’altro che etici, abbiamo agito senza sinergia europea anzi, era evidente la corsa del più furbo per strappare i migliori contratti al miglior prezzo. Abbiamo fatto i fenomeni con la Russia, che ora ci tiene allegramente ben stretti per le tonde sfere facendo il bello e il cattivo tempo con il gas e con la guerra, mentre altri Paesi extraeuropei approfittano legittimamente della situazione, sbattendosene altamente del conflitto. Non credo nella monarchia, ma vi sono casi in cui è necessario essere più realisti del re. Forse Mario Draghi aveva semplificato un po’ troppo la questione ponendo il quesito: cosa vogliamo, la pace o il condizionatore acceso? Mi pare che non abbiamo ottenuto né l’una né l’altro.

Rischiamo di brutto di pagare il contributo energia sul caffè con la brioscia, di ritrovarci con centinaia di aziende chiuse come ai tempi della prima pandemia, con gli ospedali senza i servizi essenziali, con gli anziani al freddo e senza gas per cucinare ed altre amenità. Una forbice tra ricchi e poveri sempre più larga. Qualcuno ha ipotizzato un temporaneo ritorno al carbone, pensando forse che imitare la Cina fosse una bella penZata. Torniamo al carbone, al trasporto coi muli ed al lume di candela, why not? Le associazioni ambientaliste che conosco dai tempi in cui ero bimbetta, cosa stanno concretamente facendo, oltre alle grida d’allarme e a far raccattare una tantum la spazzatura sulle spiagge da studenti e volontari? Oltre al no, cosa sono in grado di proporre alla società per superare il momento di crisi, che c’è hic et nunc e non in un domani prossimo venturo? Già, il domani, come si fa a pensare al domani noi mangiatori di microplastica, carne e frutta e verdura avvelenata? Come affrontiamo il problema della carestia mondiale, se siamo solo capaci di preoccuparci per i carichi di cereali fermi a causa della guerra e non ci chiediamo nemmeno se sono idonei per la nostra salute. Del resto, la consapevolezza alimentare è talmente vacua che abbiamo financo perduto la bellezza fisica degli anni ‘60, dei poveri ma belli, per l’attuale canone molto uozz emerican boi, con fisici giovani devastati dalla ciccia accumulata per troppe schifezze da fast food, street food, shit food. Ciccia che pagheremo salata tutti quanti, perchè le inevitabili malattie, diabete, patologie cardiache e respiratorie, peseranno sul servizio sanitario nazionale. C’è un fil rouge che lega tutto questo e non importa essere filosofi, sociologi o psicologi per vederlo: negli anni ‘60 c’era un alto tasso di analfabetismo tuttavia compensato da un diverso senso di responsabilità, che consentiva a ciascuno di fare la differenza, nel bene e nel male.

Oggi che abbiamo tutto, o ci illudiamo di averlo, siamo dei miserabili con pochissime possibilità di riscatto e soprattutto per noi donne c’è un neanche tanto pericolo di ritorno al Medioevo, ma su questo tornerò a tempo debito. Adesso c’è un clima elettorale che facilita i fraintendimenti ed io non voglio affatto incentivarlo. Credevo nell’ecologia quando forse non erano nati neanche i genitori di Greta Thurnberg: essere ambientalisti alla Don Chisciotte non fa bene alla causa, ma aumenta solo gli integralismi senza possibilità di dialogo. Ho iniziato a fare la raccolta differenziata casalinga quando ancora la gente aveva un unico bidone. Vivo in un posto ameno, lordato da bifolchi che scaricano sul limitare del bosco sacchetti di rifiuti domestici e peggio ancora, scarti di materiale edile. Dio li maledica. Esiste un punto di equilibrio tra inquinatori ed ecologisti ed è fatto di educazione, non solo civica, di una buona legislazione che favorisca chi rispetta l’ambiente e che punisca severamente chi non lo fa. Esiste un punto di equilibrio tra chi è troppo intollerante e chi invece è tollerante pro bono pacis e per opportunismi vari. Riflettiamo sul presente e agiamo, riflettiamo sul futuro che non ci appartiene e agiamo, sennò la plastica ci seppellirà, dopo che i veleni nell’aria e nell’acqua ci avranno avvelenato. Vincere una guerra non è la soluzione, anche perché in Ucraina abbiamo già perso tutti quanti.