Coatto, coattissimo, una via di mezzo fra il Piotta del Supercafone e il peggior Gianfranco Funari: banditesco, precario come un raider di Glovo ed irresistibilmente cialtrone. In altre parole, simpatico, un soffio di vitalità e di braveria nel panorama asfittico ed untuoso della nostra imprenditoria smandrappata, che da sempre privatizza i guadagni e collettivizza le perdite. Oggi, però, tutti puntano il dito contro il bancarottiere Ferrero, il malefico Viperetta, arrestato e messo alla gogna non tanto per il suo vizio di acquistare di tutto e di più senza avere il becco di un quattrino, ma essenzialmente per averlo fatto senza massonerie o consorterie alle spalle né protezioni politiche di rilievo, basandosi solo sulla propria spregiudicatezza di borgataro che è cresciuto in strada, ne conosce le malizie e soprattutto ha patito la fame peggiore, quella che non si può più togliere perché è la fame del giorno prima.

Ferrero sembra uscito da Febbre da Cavallo, te lo immagini sorridente nel cartellone accanto al Mandrake ed al Pomata, cioè accanto a Proietti e Montesano, e quando ne ascolti i discorsi sgrammaticati e surreali, i nomi storpiati per incapacità di usare altro idioma che non sia il romanesco, comprendi perché Maurizio Crozza lo abbia sempre amato così tanto, fino al punto di trattarlo meglio di molti altri suoi personaggi.
Al di là di questo, tuttavia, c’è un motivo più profondo che gioca a favore di Ferrero: egli, alla fine, non è peggiore di altri, dal momento che la sua parabola è stata funzionale ad un sistema (il calcio professionistico) dove prosperano uomini capaci di tutto ed altri capaci di tutto il resto.
E quanti capitani d’industria in giacca e cravatta si sono poi rivelati bancarottieri provetti? Non pochi, certo, anche se per la maggior parte dei casi l’abito gessato ed i congiuntivi al posto giusto sono serviti a far scivolare nell’anonimato fior di mascalzoni con l’erre moscia ed il Ferrari intestato alla zia ottantenne. Eh, siamo onesti, mica tutti fanno lo show allo stadio con la bandiera avvolta come una kefiah intorno alla capoccia!
Ecco perché alla fine, a me dispiace che abbiano sgamato il buon Viperetta: in fondo, fra tanti corsari allevati dal jet set, un morto di fame che ce l’aveva fatta ci stava pure bene e nessuno venga a dirmi che le mandrakate fatte da un borgataro sono per qualche ragione più riprovevoli ed illecite di quelle dei colletti bianchi, perché sarebbe come offendere la legge, l’intelligenza e l’onestà intellettuale.
Quindi, se è giusto che alla fine si siano bevuti Ferrero (e pure col cannuccione, come si dice a Roma), non è giusto che l’ipocrisia collettiva di questo nostro Paese, puritano e perbenista ma solo in pubblico, ne faccia l’emblema del malaffare e della disonestà: il Viperetta è solo uno dei tanti, ma almeno ha la simpatia e la lealtà per non pretendere di fingersi diverso da ciò che è sempre stato.
Per questo, caro Ferrero, ti stringo la mano: in fondo, al posto tuo molti avrebbero fatto molto peggio di te.
S. Del Giudice