Cultura

L’arroganza dell’uomo “civile”: la quarantena come un film?

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Scritto da Irene Pagnini

Tutti noi siamo chiamati ad affrontare qualcosa di molto più grande di quanto siamo abituati a vivere in questa era tecnologica, fatta di social, aperitivi, impegnativi weekend dal punto di vista sociale e dall’avere una quantità straordinaria di interessi.

COVID-19 e quarantena… come un film?

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Siamo abituati a leggere sui libri di storia quanto i nostri nonni hanno dovuto affrontare in tempi di carestia, magari affrontando uno dei periodi storici più orrendi della nostra civiltà: l’olocausto. Abbiamo sempre sentito parlare di rifugi, di bombardamenti, di momenti difficili che la grande guerra ha indotto a superare con non poche perdite umane e azioni disumane da parte dell’uomo. Solo storia, solo racconti, che spesso viviamo come se tutto ciò non fosse vero e che non ci appartiene, poiché attinente a un’epoca dove quasi tutti noi ancora non eravamo nati.

Tuttavia la storia si ripete, pur cambiando le dinamiche e il modo in cui le civiltà si trovano di fronte. E’ surreale quanto stiamo vivendo, sembra un film holliwoodiano di Steven Soderbergh, dove una pandemia costringe l’umanità a fuggire da un nemico così invisibile quanto letale, che mette a dura prova uomini, donne, bambini, l’economia e il globale mondo dei mercati.

Nei film è solito vedere i due protagonisti, sempre un uomo e una donna, che riescono a divincolarsi e a sopravvivere, magari salvando il mondo dalla fine a cui sembra andare incontro. Purtroppo i due eroi, nella realtà, non esistono e quindi deleghiamo agli operatori sanitari questo emerito titolo, totalmente meritato. Guardando il film holliwoodiano, mettendo un attimo da parte i protagonisti, vediamo un mondo di persone che subiscono inermi gli eventi che l’autore del film impone per dare forza all’apocalittica situazione che va sempre di più a manifestarsi e a uccidere.

Ma come vengono rappresentate queste persone che, purtroppo per loro, non sono i due eroi protagonisti che sfidano e vincono la sorte? Semplicemente vittime, ormai abbandonate a loro stessi, tutti in fila e condannati ad affrontare la catastrofe scaturita da qualche forma di vita aliena o da un complotto governativo che agisce all’insaputa della popolazione. Queste persone le vediamo spente, rassegnate, come famiglie normali che devono seguire le regole per sopravvivere senza speranza. I due protagonisti, durante la loro fuga verso il “non si sa dove”, incontrano vari personaggi che escono dagli schemi e che fanno da ribelli oppure da semplici apatici rassegnati. Apatici, probabilmente sono quelle persone che più rappresentano la nostra realtà attuale, che si assentano da qualsiasi reazione emotiva, poiché destinati a una sorte ormai segnata. Sono indifferenti e quindi vengono rappresentati, molto spesso, con una bottiglia di Wiskye e mezzi ubriachi, perché ormai nulla resta da fare.

L’apatia è definita come una sorta di sottomissione alle circostanze che sovrastano le scelte e quindi incutono la sufficienza e la rassegnazione.

Oggi, nella realtà, il Coronavirus ci fa capire quanto spesso siamo apatici, poiché prendiamo la situazione sottogamba e crediamo che la cosa non ci riguardi, che tocchi agli altri e che stiamo vivendo un film dove, alla fine, saremo i protagonisti immuni da qualsiasi contagio. Questo determina il comportamento di persone che continuano a non rispettare le regole e che va a sommarsi all’isteria di massa, generando fughe incontrollate dai focolai aumentando la capacità di contagio di questo reale contaminante.

I nostri nonni sono stati capaci di resistere molto più di quanto lo siamo noi oggi, perché la povertà, la sofferenza e il concetto di economia era una prerogativa che concedeva la sopravvivenza a prescindere da una grande guerra o un’epidemia. I nostri nonni non facevano gli eroi, bensì lo erano, tutti, perché la loro preoccupazione era letteralmente la sopravvivenza in tempi dove di scontato non vi era nulla.

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Oggi, l’arroganza dell’uomo “civile” e la sua posizione sociale, ci ha portati a sentirci immuni da ogni cosa, magari guardando quei popoli mediorientali o africani con superiorità e senza interesse, dove i drammi si consumano al riparo della discriminazione e dove gli occhi dell’uomo, accecato dal potere economico e sociale, non arriva. Speriamo che questa reale situazione da film insegni a tutti noi qualcosa di più umano, che ci aiuti a crescere e a capire quanto sia importante la vita per ognuno.

Speriamo che l’essere umano torni a imparare quanto bella sia la vita, sempre e comunque in un concetto di civiltà e non di solitudine. 

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