Era fatale che capitasse anche a lei, a Laura Boldrini, sacerdotessa del femminismo da passeggio e pasionaria del politicamente corretto: anni di militanza sbandierata platealmente in ogni dove, alla fine, nulla possono di fronte alla beffa da contrappasso dantesco di una colf moldava messa alla porta e licenziata in malo modo, ma soprattutto senza pagare il dovuto trattamento di fine rapporto.
Povera Laura Boldrini, icona della sinistra dura e pura, testimonial del femminismo col velo e della cooperazione senza limitazione: infilzata da una vertenza sindacale da tremila euro e sbattuta in ultima pagina come chi, ormai, non conta più una emerita cippa di nulla.

E fosse solo questo: ora che la cooperazione internazionale è passata di moda, ora che un sacco di donne qualunque hanno avuto il coraggio di dire chiaro e tondo che le conquiste in termini di emancipazione femminile e di laicità non meritano l’umiliazione di un velo neppure per questioni di diplomazia, ecco che intorno alla ex “presidenta” della Camera spuntano le lamentele rancorose di ex collaboratori maltrattati e vessati, avanzi imbarazzanti di una stagione di potere politicamente corretta in pubblico e clamorosamente arrogante a telecamere spente.
Perchè alla fine la cosa tirste, quella che emerge, è proprio questa: la Boldrini è stata uno dei tanti politici per caso di questa sciagurata seconda repubblica, non importa eletta con chi e con quali programmi. Semplicemente, una miracolata del potere, caduta nei soliti errori di chi è arrivato ad essere qualcuno solo dopo aver subito l’inevitabile logoramento che colpisce coloro che il potere non ce l’hanno.
Si, perchè Andreotti, che il potere lo ha conosciuto e vissuto come pochi altri, non avrebbe mai lesinato tremila euro di buonuscita e soprattutto, come conferma chi ci ha avuto a che fare, non avrebbe mai commesso l’errore di impartire ordini senza aggiungere un “per cortesia”, come usa fare chi è sufficientemente forte e carismatico da non aver bisogno di urlare per farsi obbedire.

Nulla di nuovo sotto il sole, dunque, perchè il potere è come il denaro e non può essere gestito da chi non ha l’abitudine e la testa per farlo.
Non starò dunque ad infierire sul sarcofago politico di una Laura Boldrini qualunque, figura di secondo piano di una stagione politica di basso profilo; quello che proprio non si può perdonare alla ex “presidenta” della Camera, come lei stessa azzardò a definirsi, è proprio questa attitudine mentale all’integralismo, testimoniata dalla convinzione di poter violentare persino la grammatica italiana in nome di un femminismo fatto più di insostenibili quanto inutili desinenze che di contenuti.

E forse sarà il caso di chiarire una volta per tutte che le figure femminili di cui andare orgogliosi non sono queste radical chic con l’indipendenza garantita dal conto in banca: le donne forti, quelle veramente toste, si trovano intorno a noi nella vita quotidiana e si destreggiano fra lavori a termine sottopagati, figli a carico e bollette da pagare. Non hanno la colf e non hanno visibilità mediatica per parlare dei loro problemi: combattono e basta e sono bellissime per questo e nonostante questo.
Niente a che vedere col femminismo di facciata e privo di contenuti da cui siamo purtroppo asfissiati e di cui la Laura Boldrini è stata per anni l’icona e la somma sacerdotessa.
Femmnismo di facciata e privo di contenuti,appunto, quello caro alla sinistra da salotto di una Gruber o di una De Gregorio, o peggio ancora alla sinistra incerca di autore di una Murgia o di una Lucarelli. Niente a che vedere col femminismo vero, magari eccessivo e viscerale, ma culturalmente coerente di una Oriana Fallaci.
Ma tant’è: della Boldrini non sentiremo la mancanza e probabilmente non la sentirà neppure la sinistra. Ne sentirà invece la mancanza, con sollievo, la lingua italiana.