Ebbene si: quando ci vuole ci vuole! Nel tritacarne mediatico, in cui tutto si macina e non si butta via nulla, qualcuno ha provato a spendersi anche una commemorazione spicciola della mitica Moana Pozzi, la star del porno che a differenza di tante altre è sopravvissuta all’oblio in cui cadono tutte le starlette del cinema smutandato.

Ma andiamo con ordine: l’idea di commemorare Moana è fondamentalmente triste e bacchettona, figlia di questo periodo di perbenismo bieco che pretende di omologare anche l’inomologabile in nome di una finta emancipazione del costume.
Soprattutto, commemorare Moana Pozzi è assolutamente inutile, dal momento che la sua figura, stupidamente demonizzata prima e stupidamente beatificata poi, è uscita dal canone rigido dell’attrice porno e si è ritagliata un suo spazio ben preciso nella storia dell’evoluzione del costume e del linguaggio mediatico di questo strampalato Paese.
Innanzi tutto l’immagine. Più Bionda Peroni che pornostar, lontana dagli ettari di pelle tatuata o dalle acconciature kitsch stile Cicciolina, Moana è stata capace di scavalcare la barriera che divide il porno dallo spettacolo “ accostumato” e prestarsi ad esperimenti interessanti sul piano del linguaggio mediatico: mi riferisco al progetto Matrjoska (poi Araba Fenice) o alle varie partecipazioni televisive che ne rivelarono lo spessore culturale e ne consacrarono la popolarità al di là del cinema hard.
In sostanza, dal punto di vista mediatico, era rivoluzionario spiattellare in faccia all’Italietta del “si fa ma non si dice”, l’idea che una attrice porno avesse un cervello e se ne potesse servire anche in contesti diversi, ma soprattutto senza nascondere, a differenza di chissà quante altre, la frequentazione dei set a luci rosse.

Ma c’è di più: Moana Pozzi, indissolubilmente legata agli anni ’80, al decennio stupidone che tuttavia ci regalò cose molto serie come la fine della guerra fredda o l’invenzione del cuore artificiale permanente e del personal computer, è stata la protagonista di una vera e propria rivoluzione mediatica, perchè ha di fatto sdoganato il linguaggio del porno trasportandone le immagini nel mondo della televisione e nella stessa cartellonistica.
Non è un caso se dunque lei, e non la bizzarra Cicciolina, riuscì ad uscire dalla gabbia dell’hard fino a divenire una specie di mito, una figura iconica che non ha bisogno, per l’appunto, né di beatificazioni né di inutili commemorazioni.

Perchè il problema,sia chiaro, è sempre il solito: l’Italia ipocrita del “si fa, ma non si dice”, l’Italia che se viene sgamata deve trovare una giustificazione pseudo ecumenica per risantificare tutto e far finta nulla sia veramente condannabile, purchè non esibito in pubblico o, quanto meno, esibito con moderazione, magari appunto con la scusa di uno stupidissimo anniversario. A chi trova eccessive queste critiche, ricordo che negli Usa, dove il moralismo dilagante stava suggerendo l’impeachment di un presidente per una fellatio, il porno ha la sua notte degli Oscar ed il suo spazio ben preciso per il semplice motivo che produce dividenti superiori alla stessa Hollywood e questo è sufficiente, come ha ben scritto David Forster Wallace, per fare in modo che nessuno debba fare equilibrismi imbarazzati per riconsacrare agli occhi della pubblica morale ciò che normalmene fa a pugni con quello che chiamiamo buon costume.
E’ il mercato, bellezze, dove esiste una domanda ed una offerta e dove l’offerta viene meno non in forza ai proibizionismi ed alle censure, ma semplicemente e naturalmente se la società cambia fino al punto di cambiare anche le proprie domande al mercato. E Moana, che sicuramente era bellissima ma soprattutto intelligente, è venuta a dirci che mettere le mutande lunghe al mercato è un po’ come mettere la cravatta al maiale. Punto e basta.

E allora , senza indulgere nelle ipocrisie di quest’epoca ben più bacchettona di quello che si crede, lasciatemi dire che il messaggio della vaporosa Bionda Peroni a luci rosse ha centrato il bersaglio ben più dell’elezione di Cicciolina in parlamento e della boccaccesca sfilata di pornostar portate da Tinto Brass sul piazzale di Monte Citorio: lei, Moana, ha superato anche gli stereotipi della provocazione ed è divenuta mito ed icona pop anche per questo.
Così, citando un vecchio titolo del meraviglioso e scorrettissimo “Vernacoliere”, non posso che chiudere con lo slogan che meglio di tutto spiega le ragioni di quel certo sotterraneo affetto popolare che l’industria delle commemorazioni vorrebbe oscurare con il suo grigio perbenismo: Vota Moana, t….i una settimana!