No, il body shaming non c’entra un H e sarà bene finirla con queste penose scuse da
baraccone. La pesantezza della signora Murgia, quella cui io mi riferisco, è la pesantezza del suo lamentoso rivendicazionismo da femminista talebana, una specie di alter ego sardo di una Boldrini o di una Gruber con un pizzico di condimento in stile Travaglio che ne ostacola la digeribilità come un eccesso di aglio nella salsa verde.
Fonte dell’immagine di copertina LA7

E’ la Murgia che si accanisce nella battaglia delle desinenze, come se l’emancipazione femminile stesse tutta nella manipolazione maldestra della grammatica italiana, ed è la Murgia che si atteggia a Grazia Deledda 2.0 senza avere avuto il duro percorso letterario dall’anonimato alla consacrazione. E’ la Murgia, infine, che per farsi largo si aggrappa al mondo del separatismo sardo, salvo poi approdare, per essere presa in una qualche considerazione e non finire nel dimenticatoio delle glorie isolane, fra Maria Carta e Benito Urru, alla corte della sinistra dura e pura che fa le battaglie sulla parità di genere, sulla questione morale ed ora, per mancanza di argomenti ,sulla natura totalitaria delle uniformi.
Ecco, lo spessore culturale della Murgia sta tutto qui, in una desinenza, in un pistolotto
moraleggiante o, al limite, in una invettiva contro le uniformi. Poi, ovviamente, poco importa se la popolazione sta male, soprattutto nelle fasce più deboli che in teoria la sinistra dovrebbe avere a cuore: pare che il problema della fame, quello che coinvolge la gente che non riesce a mettere insieme il pranzo con la cena, non coinvolga la signora Murgia, che quando parla dell’argomento (cosa assai rara!) lo fa sempre con il tono di chi affronta il problema da lontano (buon per lei!).
Ma si sa: l’ultrasinistra radical giustizialista non si confonde col populismo burino di un Funari qualunque, che parlava con cognizione di causa e coinvolgimento personale del disagio del povero e insegnava a distinguere la fame e la sua versione più brutta , ovvero la fame del giorno prima.

E questa sinistra da salotto, pasciuta e benestante, che fa tornare alla mente le parole disincantate e dolorose di Jep Gambardella, è forse il nemico peggiore del povero, di cui ha tale orrore da coprire i veri problemi sotto il manto ipocrita della propria demagogia da strapazzo.
L’ultima idiozia? Il rifiuto delle uniformi, indice di una cultura dittatoriale. Povera Murgia!
Nel suo delirio demagogico fatto di fantasmi e spazzatura post sessantottina, la nostra eroina dimentica le tante divise imbrattate di sangue e crivellate dai proiettili mafiosi,o quelle sporche della polvere che si respira fra le macerie di una città rasa al suolo dal terremoto.

Ma c’è di peggio: perchè nella sua presunta cultura di super intellettuale di sinistra da salotto, la Murgia non dovrebbe ignorare l’epopea delle guardie rosse di ogni epoca e latitudine, guardiane delle rivoluzioni proletarie di un tempo che fu, quando gli intellettuali finivano nei gulag invece che nei salotti della Roma bene.
Ma tanto, lo sappiamo, è tutto inutile: certi intellettuali per insufficienza di prove somigliano ai filosofi di Aristofane, mantenuti di lusso di una società in crisi di valori e di idee che ha bisogno di alimentarsi del blaterare di quattro mercenari della parola.