Cultura

Pane al pane

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Scritto da Irene Pagnini

Secondo appuntamento con “Affabulazioni gastronomiche”, il mio editoriale sul cibo di chiacchiere semiserie per gli appassionati di buona cucina. Oggi parliamo di Pane!

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Innanzi tutto, il senso stesso del pane. Figlio del grano, della terra, della fatica. Antico come le religioni e ad esse spesso collegato. La tradizione giudaico-cristiana, infatti, ce lo fa spezzare con l’ospite che divide con noi il desco e non è un caso se proprio durante l’ Ultima Cena questo atto assume un ruolo sacrale.
E cosa dire della laicissima Roma? Per quanto il matrimonio, come molti rapporti sociali, fosse in realtà un mero rapporto di fatto, tuttavia fra le famiglie più antiche sopravviveva il rito della confarreatio, per cui gli sposi consumavano insieme, per la gioia dei nostri nutrizionisti, una specie di pane fatto con la farina di farro.

Del resto, la stessa letteratura ha attinto a piene mani dal simbolismo connesso a questo concetto: è il pane del perdono del Manzoni o il Nonno Pane della poesia dialettale di Aldo Fabrizi.

È comunque rassicurante, gradevole, buono. In pratica, il pane siamo noi: non è forse per questo che nella tradizione, all’ospite, si offre il pane della festa, cioè quello delle grandi occasioni? È un po’ come dire che mettiamo in tavola il meglio del nostro esistere, ciò che siamo e che siamo pronti a condividere proprio perché sappiamo che è buono. Ed è il pane, non le brioches!!!!
Ecco allora che l’operato dell’industria alimentare di oggi grida vendetta: basta additivi e basta farine prelievitate, basta quinoa e basta invenzioni che apparentemente sanno di esotico, ma sono più che mai di laboratorio.

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Godiamocelo invece grande e immenso, quello sciapo che si fa in Toscana, quello di Altamura o ancora l’antichissimo pane carasau sardo: quale che sia la scelta, non si rimane delusi ed è bello riscoprire il legame fra le antiche varietà locali di grano ed i sapori di un determinato territorio, dal momento che questa Italia stretta e lunga ci permette di esplorare e conoscere.
Ma d’altra parte, vivendo nel secolo dei supermercati e delle vendite on line, mi tocca ammettere che forse davvero quel pane fatto a regola d’arte è divenuto un lusso e la prima ribollita d’autunno che ho già programmato per fine settembre un atto snobistico, quasi una roba da gaudenti viziati.

Ma se togliamo dal pane il sudore della fronte cosa resta?

Mala tempora currunt.

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Se vi siete persi l’articolo precedente di questa serie

Buon gusto… prove dinamiche!

Alla prossima, Irene

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