Cultura

A fine colloquio non so mai se dire: “assunto/a” oppure alzare il pollicione del “mi piace”

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Scritto da Irene Pagnini

Avete mai pensato a come i social network abbiano colonizzato ogni aspetto della nostra vita? Di come tutto questo oramai sia la normalità che quasi più ce ne accorgiamo? Di quanto sia inconsapevole il gesto? In questi giorni mi è capitato di selezionare alcuni curriculum vitae… Ed ho ripensato al mio, ai miei primi colloqui.

CAPITOLO 1 – LE FOTO Oggi in un curriculum non mettiamo più una foto ma un selfie. Selfie fatti ovunque, in macchina che va per la maggiore, al mare, in costume, nei locali, con le braccia in diagonale che reggono il telefonino, con smorfie improponibili, bocca stretta, riprese impensabili. Passate poi su instagram che quando vi troviamo davanti stentiamo a credere che siate la stessa persona. A noi, della generazione non dei selfie, non è che ci avanzano 5 euro o più probabilmente 5’000 lire e avevamo la voglia di andare stile mummia alla macchinetta per farci delle foto che anche nostra madre saltava sulla sedia rischiando un infarto tanto venivamo male, è che sapevamo che se ci chiedevano una fototessera probabilmente avevano bisogno di vedere come si era, ma si era davvero… Nessuna contestualizzazione, sfondo bianco e via. Ma mica perché non si andava nei locali o non ci si metteva il bikini al mare (pare strano ma lo avevano già inventato) ma perché volevamo far vedere che la nostra professionalità trascendeva la nostra vita privata.

CAPITOLO 2 – IL CURRICULUM VITAE Scrivere il curriculum vitae per noi era un po’ come redigere La Divina Commedia, doveva essere un capolavoro, ci facevano pure i corsi a scuola. Ci insegnavano che doveva essere elegante e semplice e come ben si sa l’eleganza si trova nella semplicità stessa. Niente girigogoli, colori o caratteri strani, impaginazione perfetta, bilanciata, simili a quadri di arte contemporanea, mica come quelli che si vedono oggi che paiono lo skyline di New York messo in verticale. Siete la generazione dei connessi e non sapete utilizzare il giustificativo. Nessun errore in italiano, il congiuntivo non era ancora estinto, nessuna frase fuori posto, nessuna folle iniziativa. Nei curriculum spesso oggi leggo: valuto altre proposte. Valuti? Tu valuti? Cioè tu rispondi ad un annuncio dove IO valuto te e tu valuti? Avevamo una formazione e su quella ponderavamo le nostre candidature, non ritenevamo che dato che su Google leggevamo spesso Il Sole 24 anche se si era periti chimici potevamo comunque provare a fare il ragioniere. Ma soprattutto, cosa molto importante, non parlavamo di noi in terza persona; primo per non sembrare megalomani, secondo passare da rispondere ad un’offerta di lavoro ad essere internati in un manicomio se la nostra mamma lo leggeva era un attimo. Si erano tempo davvero duri…

CAPITOLO 3 – IL COLLOQUIO Si sa, l’abito non fa il monaco, però nella prima impressione aiuta… Ai miei tempi (essendo ormai una rispettabile vecchietta di 36 anni) l’abito da indossare per il primo colloquio era molto importante. Niente scollature vertiginose, niente poppe al vento, niente pancia di fuori, mutande e sedere stavano dentro i pantaloni, le gonne per essere definite tali e per poter essere utilizzate in un colloquio dovevano necessariamente contenere più stoffa della biancheria intima. Tutta. E non è che fosse dovuto al fatto che a quei tempi c’era il boom economico e si produceva e si comprava più stoffa. È che si chiama decenza. Non si andava con i capelli alla rinfusa o vestite simil pigiama perché di tendenza, perché se non andavi a lavorare nella moda o ad oggi non ti proponi come influencer (fanno tipo un colloquio ogni 10 anni…), ridicoli si sembrava, ridicoli sembrate oggi. Ci si presentava, anche in senso fisico, non come in uno degli ultimi colloqui fatti che mi era stato mandato il marito, tanto se avevo bisogno lui mi chiamava la moglie per telefono… Si dava del lei. Si portava rispetto a chi si aveva davanti. E si apriva bocca quando si era interpellati o si aveva qualcosa da dire. Non dico che prima era meglio ed ora peggio, ma tutta questa confidenza, “friendly” che si usa oggi sulle piattaforme sociali, è si bella, ma appunto se utilizzata in tali contesti, anche perché a fine colloquio non so mai se dire: “assunto/a” oppure alzare il pollicione del “mi piace”.

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