Una volta si sarebbe definito una storiaccia, iI delitto Casati Stampa, noto anche come delitto di via Puccini, nell’elegante ed elitario quartiere del Pincio a Roma, a due passi dai Parioli e dalla via Veneto della Dolce Vita, all’interno di un lussuoso appartamento su due piani dove non si contavano le fughe di salotti, le sale da gioco e fenicotteri impagliati.
Morbosità e pruriti di vario genere trovarono sfogo nella cronaca nera del tempo: siamo negli anni ‘70, e non importava acquistare Cronaca Vera o ABC, magari occultati dentro Famiglia Cristiana, per trovare particolari scottanti che rappresentarono l’antefatto, se si vuole più intriganti del fattaccio stesso. Il primo ad accorrere sulla scena del crimine fu Valerio Gianfrancesco, capo della sezione omicidi della Squadra Mobile, che in una intervista dell’epoca al Messaggero raccontò il suo intervento: “Appena giunse la segnalazione in Questura, ci precipitammo in quello splendido attico. Ovviamente, senza supporre le cause dell’accaduto. Io anzi, a giudicare dai nomi, dalla zona e dal lusso dell’abitazione, arrivai pensando a un tentativo di rapina o magari di sequestro (all’epoca erano parecchio in voga n.d.r.) finiti tragicamente”.

I protagonisti della tragedia furono tre, in quel pomeriggio del 30 agosto 1970: una donna, Anna Fallarino, classe 1929, il suo amante Massimo Minorenti, classe 1945 e il marito omicida-suicida Camillo Casati Stampa di Soncino detto Camillino, classe 1927, nobile rampollo di una delle più antiche casate patrizie milanesi che all’epoca, tra tenute lombarde e caseggiati capitolini contava su crediti azionari per centinaia di milioni di lire. Fu una strage compiuta con 6 colpi di fucile Browning n. 12.
La vicenda è rimasta memorabile, un po’ per la notorietà dei personaggi coinvolti, ma soprattutto per i retroscena morbosi che all’epoca attirarono non poco l’attenzione pubblica. Camillo Casati e Anna Fallarino si erano incontrati per la prima volta a Cannes nel 1958.
La donna era nata in provincia di Benevento ed era di umili natali, il padre faceva il modesto impiegato ed aveva un matrimonio infelice. La guerra era finita da poco, quando Anna a 16 anni emigra a Roma, andando ad abitare da uno zio maresciallo di Pubblica Sicurezza, in via Milano, vicino a piazza Venezia e piazza Esedra, dominata dalla bella fontana delle Naiadi del Rutelli, ornata da figure femminili di procace bellezza, proprio come Anna (e come le ragazze di film tipo Poveri ma belli). La copia della fontana delle Naiadi si trova anche in una ridente cittadina termale, all’interno di uno stabilimento termale. Cosa c’entra? Per me che ci son nata in quella ville d’eaux, c’entra eccome. Anna si fidanzò con un vicino di casa, figlio di un macellaio, di nome Remo. Lui dopo il ‘fattaccio’ dichiarerà: “Siamo stati fidanzati per tre anni (…) Non riesco a credere che sia finita così. I giornali parlano di orge, di perversioni, di cose strane che avrebbe fatto con il marchese. Io la ricordo com’era allora: una ragazza semplice, capace di badare a sé stessa. Posso solo ricordarla così e voglio dirlo a tutti adesso che parlano di lei come l’ultima delle donne. Anna non sarebbe mai diventata così se qualcuno non l’avesse traviata”. Chissà, forse Anna sarebbe stata contenta di questa pietas post mortem.

A Roma Anna lavorò come commessa, tentando la carriera di modella e di attrice: le doti fisiche di certo non le mancavano, perché rispecchiava il modello femminile in voga all’epoca. Sulla carriera artistica si narra un episodio. Set del film “Totò Tarzan”, esterno giorno, anno 1950: «Come ti chiami?» – «Ranocchia» – «Allora senti Ranocchia, andiamo a fare un girino». Il dialogo è tra il principe De Curtis, in arte Totò, che ha un fazzoletto rosso al collo e Anna Fallarino. Lei ride, ha i capelli adornati da una corona di fiori e ancora non sa il destino che l’attende. Nello stesso anno incontra l’ingegner Giuseppe “Peppino” Drommi (divenuto poi anche consorte della contessa Patrizia De Blanck), rampollo di una famiglia – bene romana. Anna prega tanto la Madonnina perché la faccia sposare con Drommi e viene esaudita. Drommi è amico di vecchia data del marchese Camillino, che diventerà l’amante di Anna. In seguito la Fallarino, così come il marchese, otterrà l’annullamento del matrimonio con Drommi dalla Sacra Rota, a seguito del quale sposerà appunto il Casati, sia con rito civile che religioso. Qui si potrebbe aprire una bella parentesi larga che non apriremo, perché ci porterebbe lontano: consola il fatto che il 1. Dicembre 1970 il divorzio diventò legge anche in Italia e finalmente gli italiani, ricchi e poveri, non ‘rotarono’ più per chiudere le nozze.

Durante il viaggio di nozze Camillo Casati rivela subito alla moglie i suoi gusti sessuali, non esattamente ispirati da Santa Madre Chiesa e neanche dal diritto di famiglia in tema di coniugio, spingendola a intrattenere rapporti sessuali con giovani di bell’aspetto da lui stesso scelti e pagati, il tutto sotto il suo sguardo e scattando fotografie degli amplessi. Il marchese non era esattamente un simpaticone, specialmente verso i domestici (che evidentemente per lui rimanevano servi della gleba). Proprio Anna lo descrive: “Camillo ha cominciato la sua guerra personale con i camerieri fin da bambino. Pare che avesse il vezzo di prendere i domestici a calci negli stinchi”. Anche l’impeccabile maggiordomo Felice (sic!, par di vederlo) metterà il carico dopo la tragedia: “Il marchese era un uomo pieno di contraddizioni. Noi domestici lo ricordiamo ineccepibile, un gran signore nelle maniere (…) Per esempio talvolta egli trovava sconveniente rivolgere direttamente la parola alla servitù e allora ci parlava per interposta persona, anche se ci trovavamo a un passo da lui. (…) In un’altra occasione il marchese picchiò a sangue un cameriere che l’aveva svegliato troppo presto e la cosa finì in Pretura”. Un affabile buontempone, non c’è che dire, rammentandolo da vivo e non defunto: a vedere le foto ricorda il maggiordomo Edgard, personaggio di Walt Disney attraente e affettato come lui, che nel cartone degli Aristogatti preparava la nefasta “crema di crema”.
Era un tipo strano il marchese, aveva studiato in un collegio svizzero e coltivava la Passione per la caccia, da vero nobile, e le parole incrociate, come un plebeo.

Aveva tante dimore, su una in particolare ci soffermeremo più avanti. Quando soggiornava a palazzo Soncino, a Milano, era uso scendere in strada portandosi delle uova sode tenute in una borsa ed entrare in un bar di piazza Santa Maria Beltrade dove vi restava tutto il giorno. Chiacchierava con gli avventori e nel contempo mangiava tutte le uova, accompagnate da champagne. La sera tornava nella sua augusta dimora, dopo aver lasciato nel locale centomila lire di mancia. Era in realtà una persona irascibile che si faceva trascinare da una furia furibonda. Il solito maggiordomo Felice (un nome, un paradosso, considerato il suo datore di lavoro) narra che un giorno il marchese alla guida di una Rover 3000 investì a più riprese una vettura colpevole di ostacolargli la manovra per uscire dal cortile condominiale di via Puccini (vi ricordate nel film “Pomodori verdi fritti alla fermata del treno”, quando al grido Towanda!, Evelyn va a sbattere ripetutamente in una macchina al parcheggio del supermercato? Ecco, così). Pagò tuttavia senza fiatare i danni alla macchina che aveva completamente distrutto. Ma non per questi bizzarri episodi la procace Anna, coniugata Drommi, si innamorò del marchese Camillino in Costa Azzurra. Ci fu un episodio specifico, accaduto a Cannes, nel 1958. Il famoso playboy Porfirio Rubirosa si avvicinò a lei e compì un gesto ardito, poggiandole una mano sulla spalla nuda, provocando non tanto la comprensibile reazione del marito Peppino, visto che il playboy soprannominato ‘the Rolls-Royce of genitalià aveva provato a insistere con inusitata confidenza, quanto quella del marchese Casati Stampa. Finì a pugni, una rissa in piena regola con tavoli e sedie a gambe all’aria, vetri in frantumi. Pare che così fu conquistato il cuore della donna dell’amico. Dopo pochi mesi da quell’incidente Camillo fece istruire la pratica di annullamento delle proprie nozze presso la Sacra Rota. La pratica costerà assai e non solo di spese legali, visto che la ex moglie otterrà una cifra enorme e la tomba nella cappella Casati a Muggiò, perché pare abbia affermato “Sono nata tra i poveri, voglio finire sottoterra con i ricchi”. Anche il matrimonio tra Anna Fallarino e Drommi verrà annullato. Peppino si consolerà con Patrizia de Blanck, ex valletta della trasmissione Il Musichiere.

Camillo ed Anna si sposano civilmente in Svizzera nel 1959 e in chiesa nel 1961. La passione triolistica (quando una persona, consapevolmente e volontariamente, induce il proprio partner a vivere esperienze sessuali con altre persone, allo scopo di riceverne gratificazione sessuale) si manifesta il giorno stesso del matrimonio, nell’albergo della prima notte: succede con il cameriere che porta lo champagne e che viene invitato nel bagno dove Anna sta facendo la doccia. Camillo Casati rivela così alla neo sposa i suoi gusti sessuali, spingendola a intrattenere rapporti sessuali con giovani di bell’aspetto da lui stesso scelti e pagati.
Un voyeurismo perverso che dura quanto il matrimonio, cioè finchè la morte non li ha separati: lui faceva il guardone ed era lui che decideva. Tutto questo era destinato a finire, e finisce nel peggiore dei modi, quando nella coppia si affaccia il giovane Minorenti. Per tutto il tempo delle nozze, il marchese annoterà con precisione e dovizia di particolari, corredando con foto, i momenti più soddisfacenti: «Al mare con Anna ho inventato un nuovo gioco. L’ho fatta rotolare sulla sabbia, poi ho chiamato due avieri per farle togliere i granelli dalla pelle con la lingua. […]. Oggi Anna mi ha fatto impazzire di piacere. Ha fatto l’amore con un soldatino in modo così efficace che da lontano anche io ho partecipato alla sua gioia. Mi è costato trentamila lire, ma ne valeva la pena.»
A leggerla così, specialmente oggi che siamo un po’ più smaliziati, pare financo una cosa ridicola, paradossale, ma all’epoca uscirono le testimonianze di chi partecipò ai giochi erotici della nobile coppia, tipo quella di un bagnino: «Erano degli zozzoni. Venivano sulla spiaggia e si mettevano nudi. Un giorno mi hanno invitato a stendermi tra loro. L’ho fatto e mi sono sentito sfilare il costume, poi quella donna mi ha attirato sopra di sé. È accaduto tutto sotto gli occhi del suo compagno. Alla fine lui era talmente contento che mi ha dato cinquemila lire di premio.». Il marchese Camillino scattava fotografie in cui la nudità e le pose proibite contribuivano a fare di Anna la perfetta vestale di un immaginario molto distante dalla monogamia.
Un’altra testimonianza, non sappiamo quanto attendibile, proviene da un pescatore/guida turistica Giorgio dell’isola di Zannone, isola semi deserta con la fama di isola delle orge.
«Vede la villa coloniale bianca lassù in alto? Lì il marchese Casati Stampa faceva i suoi festini sessuali». Fa parte ancora dell’itinerario, mostrare gli angoli naturali più belli e il luogo dei festini orgiastici. «Era un uomo libidinoso, un voyeur al quale piaceva fotografare sua moglie che faceva sesso con ragazzi più giovani. Poi un giorno si è stufato delle orge, ha sparato ai due amanti e si è ucciso». Molto semplicistico lo spiegone, perché in realtà il marchese era atterrito e schifato che la moglie si fosse innamorata di un altro. Negli anni ‘60 Zannone era il rifugio segreto di questa coppia aristocratica chic e sessualmente avventurosa: «Lui andava a caccia e lei ammazzava il tempo in altro modo, tipo immergendosi nuda nelle antiche piscine romane o intrattenendosi con altri uomini sulla spiaggia». L’isolamento lo rendeva il posto perfetto per parties mascherati culminanti in ammucchiate alla “Eyes Wide Shut”. Lo scenario esotico era adatto per le provocanti foto senza veli che il marito scattava alla moglie. Nei fine settimana gli yacht scaricavano duchi, baroni, contesse, vip e milionari. Tra leggenda e verità dice che ci si ubriacasse parecchio e che esistesse una stanza con uno specchio da cui si spiavano le sedute di sesso estremo. Oggi a Zannone non nemmeno un bar, ci sono soltanto pecore. Resta la villa a picco sul mare, una costruzione illegale degli anni ’30, eretta su un sito archeologico. Un tempo era luogo di meditazione e preghiera, ma diventò zona di trasgressione e scandalo. Quando le notti decadenti finirono in tragedia, la villa fu chiusa e l’isola reclamata dallo Stato.
La trasgressione accadeva anche sul litorale romano: «Sulla spiaggia di Coccia di Morto o su quella di Ostia» scrisse Vincenzo Cerami «il marchese seleziona alcuni passanti, preferibilmente avieri, burini o soldatini con bei corpi muscolosi e gli dà dalle trenta alle cinquantamila lire per possedere la moglie, a cielo aperto o nella loro cabina al Gambrinus, mentre lui fotografa e gode della gioia di lei».
Col tempo però, Anna, inizialmente incline ad assecondare le fantasie del marito, giustificandole con la scusa che «Quando uno ama diventa tutto lecito» prova dapprima disagio per un modus operandi ormai abitudinario e senza soluzioni di sorta: «Non so come fa a non stancarsi, vorrebbe che io facessi continuamente l’amore e non solo con lui, anzi quasi mai con lui! All’inizio quando mi parlava di certe libertà sessuali e di rapporti promiscui, credevo che lo facesse per eccitarsi o per incuriosirmi (…) e poi disgusto: «Non ho più pace, sono sfinita, non ce la faccio più. Mi pare di essere diventata la peggio delle peggio mignotte. Non me ne importa più niente di niente di fare la trasgressiva, e pensare che quando mi sono messa con Camillo io lo amavo da impazzire».

Anna medita la fuga, sogna una casa tutta per sé, ipotizza persino di raccontare a terzi i vizi del marchese per poter evadere da una ricchezza che tra un soggiorno nell’isola di Zannone e uno in Costa Azzurra, le restituisce un orizzonte povero di felicità. Poi a una festa, nei primi giorni del 1970, incontra Massimo Minorenti, bello e senza una lira. Impossibile per me non ricordare certi vitelloni sfaticati che aspettavano ai tavolini dei migliori caffè della città termale a me cara, quella della copia della fontana Rutelli per intendersi, arzille e anziane forestiere bisognose di ‘coperta’ anche d’estate. Anna presenta Massimo a Camillino, a cui ‘il capellone’ d’acchito non piace e ne ha ben donde: alla partouze i due preferiscono fare gli amanti tradizionali. I loro incontri avvengono in un albergo di viale Liegi o in casa, quando il marchese si assenta per le sue battute di caccia. La versione ufficiale della storia racconta che Anna si innamorò di Massimo, ma più probabilmente non fu così, perché la marchesa accettava dischi in regalo e lo trovava spassoso, con l’amara consapevolezza di chi avesse tra le mani: «Come si dice ogni bel gioco dura poco e anche il gioco dei fidanzatini fra noi si è esaurito presto, ma me lo sono tenuto in caldo e a portata di mano per un mio preciso disegno. Ho i piedi ben piantati per terra e so che al giovanotto piace stare con le persone altolocate del gran giro, come lo chiama lui, per arraffare quanto più gli è possibile dalle signore ricche e generose». Chissà, se ‘il capellone’ avesse fatto la stagione turistica nella città termale! Forse avrebbe salvato la pelle, accontentandosi di soddisfare signore vogliose e danarose magari più vizze e rugose della marchesa Anna, che era bellissima come le centinaia di foto dimostrano e che è stata, pare, tra le prime donne italiane a sottoporsi ad un intervento di chirurgia estetica al seno. Quando i tre si trovano insieme, comunque, le cose non vanno sempre bene, perché il marchese Camillino è scontento e, incredibile ma vero, geloso di Minorenti. Dimostra indignazione per la mancanza di esclusività: Anna deve essere sì degli altri, ma resta una cosa sua, è lui il burattinaio e l’ipotesi di essere burattino lo sconvolge. Il 7 luglio del 1970, parlando di Anna, il marchese scrive: «La più grande delusione della mia vita. Vorrei essere morto e sepolto, che schifo, piccineria, voltastomaco, quello che mi ha fatto Anna. Pensavo che fossimo l’unica coppia legata veramente, e invece…». Ad agosto, a Zannone, Camillo affronta Massimo. Lo insulta. Lo aggredisce: «Massimo, ma come ti muovi. Balordo. Non ti attizza mia moglie? Eppure ti piace quando nessuno vi guarda. Ometto mancato. Ora ti faccio vedere io come si fa».

È l’inizio della fine.
Il 30 agosto, mentre è in Veneto, a casa Marzotto, Camillo riceve una telefonata da Anna e Massimo, sono a Roma e vogliono parlargli. Camillo intuisce l’abbandono, il tenore è tempestoso con Anna: «No… Non precipitare le cose… Se è così fra noi tutto è finito, ma tu allora devi uscire subito di casa e lui deve mantenersi… Venite a casa mia domani, alle 18.30 e sistemeremo tutto. Se invece le cose non dovessero sistemarsi, io lo rovino, magari lo ammazzo… A te, comunque, non succederà nulla, stai tranquilla». Quando interviene Massimo, Camillo lo insulta: «Vigliacco, marchettaro» e attacca. Il racconto che fa Cerami delle ore successive è degno di un film noir. Anna, preoccupata, lascia Via Puccini con Massimo e si rifugia da un amico di lui, beve litri caffè e tra una sigaretta e l’altra ripete in continuazione: “Camillo non minaccia mai a vuoto”. Il marchese si alza all’alba, abbatte 183 anatre, roba da far impallidire il WWF, da Valdagno raggiunge Venezia per imbarcarsi su un volo che lo riporti a Roma. Congedandosi, saluta con la promessa di tornare per la prossima battuta di caccia con Anna. Promessa non mantenuta: Camillo arriva a Fiumicino alle 18 e rientra in casa. Verso le 19.15 Anna e Massimo entrano nel salotto. Camillo li ha fatti attendere dando l’ordine ai camerieri di non disturbarli per nessun motivo (e i camerieri si guardano bene dal disobbedire). Ha un fucile: spara tre volte ad Anna, due a Minorenti. Poi punta l’arma verso se stesso e si uccide. Sangue sui mobili di Luigi XV, sulle tende, sulle sedie vaticane. La perizia medica stabilì che Anna Fallarino era deceduta sul colpo al primo sparo diretto in pieno petto contro di lei, morendo prima del marito. Restò fulminata sulla poltrona dov’era seduta. L’amante cercò di scamparla, cercando riparo dietro un tavolinetto, ma il secondo colpo lo centrò alla testa. Il marchese si tolse la vita, ricaricando il fucile rimasto senza cartucce e puntando sotto la gola. Gli amici della coppia di amanti che aspettavano in strada odono gli spari, salgono e suonano alla porta. I domestici hanno sentito tutto anche loro ma hanno ricevuto ordini precisi. Sono le otto di sera: viene avvertita la sorella di Anna Fallarino che abita a Rocca di Papa e arriva in via Puccini alle 21,30. Tutti tornano di sopra, il maggiordomo sulle prime non vuole aprire, poi si lascia convincere ed spalanca la porta del salone. Il resto è cronaca nera che invaderà per giorni, settimane, mesi, addirittura anni la stampa (i giornali romani aumentarono di mezzo milione di copie la tiratura). Tante le domande, a cui si sono date risposte incerte, assurde, di sicuro non veritiere. La stampa sensazionalistica pubblicò le fotografie in cui Anna era nuda, in pose osées sulle spiagge private, durante focose ed estemporanee performances con perfetti sconosciuti. Le foto erotiche della marchesa furono pubblicate da diversi giornali: Men, L’Europeo e altri fecero a gara a presentarle, unitamente a parti del diario personale del marchese.

Le immagini erano conservate dal marito in un libro foderato di raso (per altri velluto) verde, tenuto sopra la scrivania; non si scoprì mai come il materiale giunse alla stampa (e qui mi sfugge un sorrisetto di circostanza…). In realtà, io che all’epoca ero ancora piccina, ricordo che anche i giornali da famiglie, tipo Oggi o Gente, non lesinarono pagine al ‘fattaccio’ romano.

La figlia del marchese Casati, Anna Maria, ottenne il sequestro di una pubblicazione oscena in cui erano presenti molte delle famose foto, unitamente a un rapporto diffamatorio, in molti passi inventato. I tabloid pubblicarono comunque estratti dal diario verde, dove il marchese dettagliava i triangoli amorosi della moglie. Nei cassetti del suo ufficio furono ritrovate 1500 foto indecenti. Non si pensi a un caso isolato, perché talune ridenti cittadine termali, pur senza arrivare a tragici epiloghi, in quell’epoca ne avrebbero avute altrettante da raccontare!
Ma la ‘storiaccia’ successe a Roma, quando ancora le metropoli si svuotavano per le vacanze, successe al tramonto, quando le redazioni dei giornali aspettavano la presentazione veneziana dell’ultimo film di Federico Fellini e la proclamazione della nuova Miss Italia, e invece piombò arrivò una notizia destinata a fare parecchio rumore e ad avere anche un’influenza culturale a livello musicale (si ascolti la canzone ‘Intimacy Disorder’ del progetto nato dalla collaborazione artistica tra Calcutta e Pop X nel 2015, ispirata a questo fatto di cronaca).
Con la morte di Camillo Casati Stampa di Soncino, sepolto secondo il suo volere accanto alla seconda consorte, nello storico Mausoleo Casati Stampa di Soncino, nel cimitero urbano di Muggiò, le sue proprietà passarono alla figlia Anna Maria, avuta dalla prima moglie, la ballerina Letizia Izzo (meglio nota come Lydia Holt).

Il mausoleo Casati Stampa di Soncino è un impianto celebrativo monumentale nel cimitero urbano di Muggiò (Brianza) sin dal 1830. Dal 2008 il Comune di Muggiò ha formalmente acquisito – dopo oltre 12 anni di trattative e d’iter burocratico – lo storico mausoleo funebre attraverso l’atto amministrativo della decadenza (previsto nel regolamento dei servizi cimiteriali) concordato tra il sindaco Fossati e il conte Donà dalle Rose, consorte dell’ultima discendente del ramo Stampa di Soncino.

Il marchese Camillo nel suo testamento aveva disposto di lasciare tutti i suoi possedimenti alla moglie Anna Fallarino, ad eccezione di un quadro raffigurante la Madonna col Bambino e di un’assicurazione del valore di 100 milioni di lire, destinati alla figlia. Dunque la successione universale di quest’ultima fu contestata dalla famiglia Fallarino, che si affidò all’avvocato Cesare Previti. Massimo Fini descrive la trattativa riguardante l’eredità non lesinando parole pesanti, da cui ne conseguì una querela da parte di Previti dove Fini ne uscì tuttavia assolto: “(…) La truffa, o meglio le truffe, consistevano in questo. La Casati Stampa, minorenne, era rimasta orfana di entrambi i genitori morti per una tragedia a sfondo sessuale. Purtroppo per lei aveva come pro-tutore Previti già in combutta con Berlusconi attraverso la società Idra. Previti vendette a Berlusconi la villa di Arcore con annesso parco per la cifra ridicola di 500 milioni (…). Prima che fosse regolarizzata la permuta, e quindi che Berlusconi avesse pagato, l’allora Cavaliere si installò nella villa di Arcore con Dell’Utri e il noto mafioso Mangano. Salderà solo ad anni di distanza, mentre la Casati continuerà a pagarci le tasse. Ma ancora più incredibile è la seconda truffa. I Casati Stampa a Cusago possedevano un vastissimo territorio pari a 246 ettari. Previti vendette queste proprietà a Berlusconi per la cifra ancora più ridicola di 1 miliardo e 700 milioni. Ma le pagò con azioni di società di Berlusconi non quotate in borsa e dal valore molto dubbio. Quando la Casati Stampa cercò di realizzare vendendo queste azioni non trovò nessuno disposto a comprarle. Allora arrivarono, soccorrevoli, il Gatto e la Volpe dicendole: le ricompriamo noi. Ma a metà prezzo: 800 milioni.
Eppoi venne il tempo delle cene eleganti…
Fonti per il Delitto Casati Stampa: Il Fatto Quotidiano, Massimo Fini | Dagospia Estratti dall’articolo di Silvia Marchetti per CNN | Malcom Pagani per Vanity Fair Corrado Augias, I segreti di Roma
E se te lo sei perso…