Oggi parliamo di manipolazione mentale.
Fin dalle origini, la civiltà umana si è sviluppata nell’evoluzione della specie, donando all’uomo l’opportunità di mutare e di uscire dal non essere razionale, quindi spinto dal riflesso condizionato e dall’istinto della sopravvivenza, alla razionalità e alla capacità di provare sentimenti ed elaborare ragionamenti complessi. Queste differenze sono il marcatore che indica il passaggio evolutivo fra l’animale e l’homo sapiens, innescando un processo di relazioni fra individui che ha portato alle più attuali definizioni di civiltà. La manipolazione mentale ne fa parte.
In questa complessa e lunga fase evolutiva, le relazioni sociali si sono modellate in base a schemi sempre più precisi e adattate in base ai periodi storici e alla conoscenza che l’essere umano ha evoluto con il resto del suo progresso. Gli schemi sono originariamente diversi in base alle collocazioni geografiche, alla differenziazione fra i popoli e la loro capacità di interagire e di comunicare con il resto del mondo. Pur rimanendo della stessa dimensione fisica, con il costante crescere della tecnologia, il nostro pianeta si è fatto sempre più piccolo e si sono ridotte le distanze sociali molto rapidamente.
Lo spirito di adattamento di ogni popolo, sempre e comunque costituito da individui, ha fatto si che l’evoluzione sociale e individuale fosse più o meno marcata, fornendo pertanto maggiore vicinanza comunicativa ma anche una netta distanza sociale e gerarchica fra i vari substrati che costituiscono l’umanità. Possiamo quindi dedurre che, nonostante questa continua e inarrestabile globalizzazione mentale e contestuale, i vari modelli di convivenza e di relazione mondiali sono ancora marcatamente distinti, soprattutto dove tutta questa evoluzione si è svolta, e continua a svolgersi, in modo più lento rispetto al resto del pianeta.
La mente umana agisce quindi in base ai propri modelli di origine, agli schemi che sono stati seguiti dalle generazioni precedenti dall’attaccamento fisiologico alla terra di origine. Tutto questo ce lo dice la storia, come il controllo delle popolazioni più deboli da parte di quelle più forti, attraverso strumenti come le religioni e la predisposizione all’equilibrio fra potere, scoperta ed evoluzione mentale collettiva. Ma, per quanto la società sia sempre più globale, i popoli sono composti da individui e ognuno con la personale capacità di razionalizzare in base alla cultura personale e alla capacità di equilibrarsi con i propri simili.
E’ con la manipolazione mentale delle fasce culturali meno evolute che si sono costituite le varie differenze sociali, che a sua volta sono composte da un’infinita serie di sottocategorie che soffrono ulteriori disequilibri al loro interno.
Arriviamo quindi all’individuo contro individuo dove, anche in questo caso, nonostante la probabilità di vivere all’interno dello stesso schema, entra in gioco l’autostima e la sottomissione al giudizio degli altri, condizionando il soggetto a essere ricettivo inconsciamente della predominanza dell’interlocutore.
Non si tratta di intelligenza, ma di fiducia nelle proprie capacità relazionali, nella personale percettività di conferire valore alla propria valutazione oggettiva e individuale una posizione all’interno dello schema.
L’interlocutore predominante, in qualità di essere umano, può conferire sicurezza e razionalizzare sull’argomento, rendendo riflessivo chi ascolta e subisce il senso d’inferiorità. Non è detto, però, che l’interlocutore si senta in equilibrio e non abbia interesse di predominanza. Bensì, la sua avida propensione al bisogno di conferme, nonché alla necessità di sentirsi in predominante controllo su tutto, tende a sfruttare l’indecisione e l’incertezza relazionale del soggetto nel suo periodo meno reattivo nelle relazioni e più indeciso sul proprio ruolo all’interno dello schema o alla condizione di vita che in quel momento si trova ad affrontare. Ecco che scatta un meccanismo, talvolta inconscio, determinato dal bisogno di supremazia e di valore in un contesto globale come punto fermo di riferimento. Ecco quindi che l’egoismo irrazionale inizia a farsi forza della debolezza dell’interlocutore, in un panorama di confronto e di bisogni emotivi protratti in un tempo relativamente lungo, indulgendo confronti e relazioni in uno schema non percepito e posto come una visione d’insieme. L’interlocutore più fragile, si trova ad accettare quella comunicazione apparentemente più determinante e ferma, senza titubanze e satura di esempi che prospettano una posizione indiscutibile e assoluta. L’interlocutore più debole si trova quindi a dover impiegare minore sforzo riflessivo e ad accettare “la lezione” di vita impartita, poiché in condizione di forte stress mentale, derivato dalla condizione psicologica che in quel momento vive.
Tuttavia non esiste solo una tipologia di manipolazione della mente, in questo caso data dalla posizione giusta e nel momento giusto di chi in quel momento si trova a dettare posizioni di collocazione apparentemente corrette in quello schema, ma ci sono condizioni di manipolazione molto più consapevoli e razionalizzate da menti strategiche e che hanno compreso il delicato equilibrio relazionale.
Non è necessaria una preparazione culturale, ma è sufficiente essere molto più realmente sicuri di se e aver compreso quanto debole possa essere una persona, o addirittura delle collettività, per prendere una posizione predominante.
Nelle collettività, almeno in parte, è addirittura molto più efficace la manipolazione volontaria, poiché si basa sulla necessità di ottenere dei binari guida e nell’individuazione di un’unica fonte di sicurezza attribuite al soggetto che trasmette tanta aspettativa. E se nella collettività delle piccole realtà sociali questo è un dato di fatto, tutto ciò si amplifica nelle relazioni sociali più ampie e quindi a dare origine al concetto di potere. Ma come contrastare o impedire la manipolazione volontaria, atta all’ottenere il potere personale e unitario verso una comunità che ha bisogno di riferimenti? Sicuramente con la cultura, la riflessività e la riduzione globale dei bisogni individuali e collettivi.
Si può definire, quindi, che più la collettività è povera culturalmente e con il senso di frustrazione di un contesto collettivo incerto, è sicuramente più debole e incline alla sottomissione di una manipolazione mentale, cedendo il controllo a chi fornisce un senso di pienezza e di padronanza della situazione.
Per concludere, la manipolazione mentale è data da due fattori determinanti: da una parte chi ha, o almeno manifesta, un pieno controllo di se e chi in quel momento è vittima delle proprie debolezze o delle debolezze collettive del proprio sistema sociale.