A Palazzo Fabroni – Museo del Novecento e del Contemporaneo – di Pistoia la mostra MARCO DELOGU / ASINARA è stata inaugurata sabato 21 aprile e resterà aperta al pubblico fino al 1° luglio. L’esposizione conta ventinove immagini, quasi tutte notturne, che colgono l’Asinara nella sua identità più profonda, mostrandoci la bellezza di una natura selvaggia ed incontaminata, dove la freddezza delle strutture sanitarie e carcerarie produce un forte contrasto. L’artista si è dedicato per tanto tempo alle fotografie di ritratti: tra i moltissimi lavori si è occupato del governo della Chiesa quando Ratzinger era Papa ed ha lavorato per 7 anni nel carcere di Rebibbia fotografando i detenuti. Come spiega Delogu, non erano ritratti freddi ma c’era sempre una parte di lui che entrava nel ritratto, avevano sempre a che fare con una storia che aveva fatto parte di lui o della sua famiglia; c’era quindi troppa emozione e per questo aveva deciso di allontanarsi per un po’. Iniziò, così, a fare fotografie in natura recandosi da solo nei boschi e l’Asinara fa parte di un’estensione di questo lavoro, dove la sua parte corporea entra nel modo in cui le foto vengono scattate. Le foto vengono fatte di notte, poiché si incontra molte meno persone che di giorno e gli occhi si devono abituare alla sola luce della luna. Inoltre, sono scattate a mano senza cavalletto, perché significa che la sua mano entra nelle fotografie e che non c’è nessuna attesa, ma vengono scattate in pochi secondi. L’artista confessa che queste foto sono il risultato del lavoro di una persona che ha deciso di trovare il suo colore e che dopo aver fatto per anni e anni fotografie in bianco e nero ha deciso di farlo attraverso questa luce, che è soltanto la luce della luna piena. Durante l’intervista ci racconta che l’intero progetto è durato circa sei mesi, dall’ideazione alla stampa delle foto. La settimana trascorsa all’Asinara è stata molto dura, poiché non dormiva quasi mai: di giorno stava con il figlio piccolo e la notte andava in giro per l’isola e scattava le foto. In particolare, l’ultima sera quando ha percorso 11 km per arrivare al faro è stata una vera impresa. Inoltre, i telefoni prendevano veramente poco e questa è stata un po’ una prerogativa di tutti i suoi lavori che si sono svolti in posti dove non si usava il telefono, come ad esempio in Vaticano dove devi spegnerlo e in carcere dove viene ritirato. Questo per Delogu significa la possibilità di una contemplazione pazzesca. «L’atmosfera era meravigliosa: c’era un piccolo vento, una luce densa. Soltanto nelle ultime tre sale di questa esposizione si trova l’ultimo giorno, dove siamo andati verso il faro e lì per la prima volta comparvero le nuvole e la pioggia per una mezz’oretta. Quella era un’altra parte dell’isola, la parte nord dove c’è solo questo vecchio faro. Quando sono arrivato avevo paura che la rotazione della luce del faro mi avrebbe dato fastidio e invece si era improvvisamente rotto, per fortuna». La rassegna è stata completamente ripensata per le sale del secondo piano di Palazzo Fabroni, in una relazione stretta e organica con il contesto architettonico dell’edificio; la disposizione delle opere racconta, anche attraverso le parole dello stesso Delogu sulle pareti, un viaggio d’artista, particolarmente poetico, alla scoperta dell’Asinara. Le ventinove opere sono, inoltre, affiancate da un testo dello scrittore Edoardo Albinati che, per oltre 20 anni insegnante nel carcere di Rebibbia, ha vissuto come Delogu un’esperienza di residenza all’Asinara. Delogu ha espresso con una frase l’essenza di questa mostra e del suo lavoro: «Se non stai attento, lì la sindrome di Stendhal ti colpisce e ti prende, perché la natura è incredibilmente bella e incredibilmente variegata».