Cultura

Costa Concordia: il Titanic italiano

avatar

Il ritrovato interesse per il naufragio del Costa Concordia è un male forse peggiore del naufragio stesso. Per quanto si possa far finta di non vedere e non capire, infatti, siamo di fronte ad una tragedia vissuta come una mezza farsa, alla faccia dei morti e della sofferenza delle famiglie di costoro, in cui la figura fantozziana di un capitano di vascello (Schettino) pare messa lì a bella posta per riassumere ogni genere di mancanza e responsabilità, grazie anche ad una narrazione che depenna diabolicamente i fatti dalla cronaca per consegnarli all’operetta.

schettino

Poi arriva il tempo delle rievocazioni, il famigerato decennale, ed ecco che su Discovery Channel appare un bel documentario fatto dagli americani (la Costa Crociere è di proprietà del gruppo statunitense Carnival) in cui alla fine dei salmi si racconta con aria innocente che da quel maledetto disastro la compagnia ha assunto misure di sicurezza più severe e controlli più penetranti: la procedura in caso di guasti allo scafo con allagamenti è stata resa più efficiente, il ponte di comando è accessibile solo al personale autorizzato ed anche il movimento della nave lungo la rotta stabilita è controllato in tempo reale. Accidenti, o meglio, esticazzi! Davvero per arrivare a tali rivoluzionarie intuizioni c’era bisogno del naufragio con morti annessi? E, soprattutto, è corretto scrivere la parola fine dopo aver contrapposto la delirante faciloneria del comandante Schettino al dignitoso ed etico rigore “a posteriori” di una compagnia che fino al giorno prima evidentemente finto di non vedere?

La verità è che il buon Schettino è stato il perfetto capro espiatorio, accentrando su di sé ogni genere di responsabilità e di pubblico sdegno, appena temperato dai particolari degni di un cinepanettone con Villaggio e Pozzetto ai posti di comando: solo così, del resto, si possono giustificare l’atteggiamento da esercito di Franceschiello durante le ore concitate del naufragio, la maldestra manovra del famigerato “inchino” e la distrazione costituita dalla ballerina moldava al seguito del comandante. Il tutto suggellato da un “salga a bordo, cazzo” che è quasi una citazione per i cinofili, tanto è simile a quel “tiri, coglionazzo” rivolto dal duca conte Semenzara al servile Fantozzi durante la celeberrima partita di biliardo sotto gli occhi dei colleghi di ufficio.

E chi si dimentica le interviste dell’imperturbabile Schettino? Lui che asseriva di aver salvato la nave, lui che si arrogava la qualifica di esperto della gestione del panico fino al punto da ottenere un ruolo di docente in un corso universitario che per decenza qualcuno decise di bloccare sul nascere. Schettino, ancora Schettino e sempre Schettino. Farsesco e troppo assurdo per essere vero.

Dietro la farsa, tuttavia, sono rimaste poche ma fondamentali domande senza risposta: chi controllava il comportamento del personale di bordo, il rispetto della rotta e delle procedure di navigazione? E perché mai prassi curiose ed evidentemente pericolose come il famigerato “inchino” erano tollerate al punto da essere ordinaria amministrazione per molti equipaggi?

Ma si sa che a noi italiani le cose semplici e logiche non piacciono: meglio costruire l’epopea del Titanic de’ noartri, l’epica stracciona costruita sulla pelle di morti inutili riciclate come storie di ordinario eroismo di gente comune, secondo la più bieca ed ipocrita retorica da sepolcri imbiancati. Perché qualcuno dovrebbe avere il coraggio di spiegare che quando accade una cosa del genere in America, dove appunto ha sede la Carnival, il tribunale non si accontenta di un capro espiatorio qualsiasi, ma apre le porte del carcere per gli abitanti dei piani alti, coloro che permettono o impongono a seconda dei casi procedure di sicurezza insufficienti e controlli all’acqua di rose. E se i morti sono molti, come capita nei naufragi, le porte del carcere si chiudono per non riaprirsi più, perché l’ergastolo è ciò che si merita chi gioca con la vita degli altri per risparmiare quattro palanche nel bilancio consolidato di gruppo.

Ma noi siamo diversi. Per noi, i morti sono morti e tutto quello che ci serve è un bel piatto di retorica stracciona per raccontare ai posteri che il mare luccica, c’è la luna piena e tutto può essere perdonato. Anche a Schettino.

S. Del Giudice

Sending
User Review
0 (0 votes)