Onestamente, non so dire se Mimmo Lucano sia colpevole o innocente. Forse, paradossalmente, non mi interessa neppure così tanto. Quello che mi interessa, viceversa, è l’esistenza di una corrente di pensiero cattocomunista per cui Mimmo Lucano deve essere per forza innocente e Vincenzo Muccioli, viceversa, colpevole senza prova d’appello.

Mi interessa, poi, comprendere il meccanismo per cui dobbiamo per forza sorbirci peana di ringraziamento e poemetti lirici in lode dei cooperanti d’ogni ordine e grado, facendo finta di ignorare tutte le situazioni in cui, per qualche ragione, il vizio e l’avidità si insinuano anche fra i portatori di solidarietà: sembra quasi che la notizia di un qualsiasi crimine commesso da un qualsiasi soggetto, che si tratti di contrabbando di medicinali o di abusi sessuali , sia un vero e proprio tabù, come se improvvisamente la responsabilità penale non fosse più un fatto rigorosamente personale, ma un problema politico da tacitare per ragioni di opportunità.
Questa visione, tuttavia, riesce a profanare gli ideali della solidarietà e della cooperazione internazionale ancora più degli illeciti perpetrati dai singoli, dal momento che un modo di pensare riesce ad inquinare un concetto ben più profondamente del più efferato e perverso dei crimini: la sola idea che il mondo si divida in buoni e cattivi a prescindere, che l’idea di andare a sfamare una moltitudine di indigenti basti a placare la nostra cattiva coscienza da Primo Mondo rapace e post imperialista, non regge alla prova dei fatti, che vede il pianeta irrimediabilmente diviso nella più ottusa e liberticida delle distinzioni, quella in cui una minoranza ricca, evoluta e tecnologicamente avanzata elargisce carità e compassione ad una moltitudine affamata, analfabeta e disperata.

Forse, converrebbe mettere da parte la compassionevole ed untuosa solidarietà cattocomunista e provare a ragionare in termini di sano, razionale ed umanissimo egoismo, arrivando a comprendere, ad esempio, che l’Africa è, con l’Amazzonia, il grande polmone verde di questo pianeta e che la sfida per ricacciare indietro il deserto non appartiene agli africani, che pure pagano il prezzo più alto, ma a tutti noi. Forse, converrebbe arrivare a capire, senza retorica, che sarebbe il momento di smettere di tenere il povero sotto scacco elargendo un pesce al giorno, ma che forse, insegnandogli a pescare, a coltivare, a leggere, scrivere e magari anche a governarsi da soli (dato che non basta un’indipendenza formale per essere “liberi”) , i primi a trarne beneficio saremmo proprio noi.

E forse sarebbe il caso di spiegare a Greta Thunberg o a chi per lei che è facile essere ecologisti e progrediti quando si hanno i soldi, ma che è ancora più facile essere ecologisti e progrediti se delocalizziamo le nostre fabbriche più inquinanti e luride in Nigeria o in Pakistan, dove magari possiamo mandare al diavolo tutte le idiozie sulla sicurezza sul lavoro e sul lavoro minorile, perché in fondo chi vuoi che vada a vedere cosa fai laggiù… Ma ovviamente tutto questo non si può fare, perché la cosa importante è cantarcela e suonarcela, urlacchiando a tutti quanto siamo solidali, altruisti e meravigliosi.
Tanto, male che vada, c’è sempre un Mimmo Lucano da mandare al patibolo.
Stefano Del Giudice