Sono finalmente riuscito a vedere “Bohemian Rhapsody”, il film dei Queen che racconta, a modo suo, la storia della band e del suo leader Freddie Mercury.
Premetto che sono cresciuta a pane e Queen, perciò, nel giudicare il film, ho provato ad essere il più obiettiva possibile, cercando di non farmi influenzare dalla conoscenza della storia, né dalla grande aspettativa che si crea naturalmente nella mente di un fan sfegatato.
Ho letto molte recensioni e pressoché tutte stroncano il lavoro di Bryan Singer basandosi sulle macroscopiche imprecisioni (talvolta anche invenzioni di sana pianta) nel racconto della storia. Tra tutti gli articoli, quello più completo e che mi trova più d’accordo l’ho letto su dailybest.it e si intitola “Bohemian Rhapsody, il film dei Queen che piace a chi non conosce i Queen” (clicca qui per leggere l’articolo completo).
Il titolo dell’articolo spiega di per sé che il film non piace ai fan, ma in generale piace. Bohemian Rhapsody infatti è fatto bene, scorre e lascia tutto sommato una buona impressione. Peccato che, più che il film dei Queen, una delle band più importanti della storia della musica, questa sia la storia di un normalissimo gruppo rock, un racconto che tralascia quasi tutto ciò che era importante e che li ha resi eterni, soffermandosi invece su aspetti marginali o addirittura inventati.
Al netto del successo ai botteghini, il grande insuccesso del film è quello di non raccontare ai giovani la grandezza di questo gruppo, la genialità di Freddie Mercury, l’influenza che ha trasmesso e che ancora oggi trasmette la loro musica. Insomma, come direbbe Freddie:
there’s so much left unspoken.
Con questo articolo cercherò quindi di aggiungere alcuni degli aspetti che a parer mio il regista avrebbe potuto approfondire per arricchire la trama.
Un vero inizio
L’inizio del film racconta la nascita della band e lo fa inventando di sana pianta. Presenta Freddie come l’ultimo arrivato che si unisce al gruppo, ma non è affatto andata così.
Roger Taylor suonava con Bryan May ed era già amico di Freddie. Dopo l’ingresso di quest’ultimo nella band si misero alla ricerca di un bassista, e, grazie a diverse audizioni, conobbero John Deacon.
Questo sarebbe potuto essere un inizio sul quale eventualmente prendersi qualche licenza, invece ho assistito ad una fantasiosa forzatura che fa arrabbiare i fan come me e male informa chi non conosce i Queen.
Freddie e la band
Freddie mercury è interpretato da Rami Malek, un buon attore che fa il suo compito senza infamia e senza lode. Personalmente, per somiglianza facciale e capacità istrioniche, avrei preferito Sacha Baron Cohen, inizialmente scelto per la parte, ma poi sostituito per dissidi con la produzione.
Problema ben peggiore è come il personaggio viene dipinto: Freddie appare come un artistoide un po’ effeminato e presuntuoso che entra nella band e ne diventa leader indiscusso, ne determina i successi e l’abbandona per poi tornare a proprio piacimento. Un omosessuale orgoglioso ed amante degli eccessi.
Non solo una prostituta musicale
In realtà Freddie aveva in primis un animo gentile e profondo: era una persona piuttosto riservata tant’è che non ha mai dichiarato pubblicamente la sua omosessualità (né la successiva malattia). L’aspetto istrionico era solo l’altra faccia della medaglia, un modo per emanciparsi dalla sua fragilità. Era un artista con una sensibilità più unica che rara, capace di concepire testi e melodie che rimarranno nella storia della musica a beneficio di tutti. Poco o niente di tutto questo viene messo in luce nel film e del Freddie cantautore emerge la sola “Bohemian Rapsody” e un accenno a “Love of my life”. Il regista si concentra molto di più sull’aspetto pop, l’aspetto esteriore di Freddie, l’altra faccia della medaglia. Non basta però la sola e scontatissima frase “I’m just a musical prostitute” a rendere il giusto merito ad un indiscusso genio della musica. Se conoscete soltanto i pezzi più famosi dei Queen, ecco una delle più belle canzoni d’amore di Freddie che mette in luce il suo infinito talento. Questa o molte altre avrebbero potuto arricchire la pellicola.
Non leader, ma front man
Freddie Mercury non era il leader della band, ne era solo il fantastico front man. I Queen, più di ogni altro gruppo di questo calibro, si dividevano la leadership, liberi tutti di esprimere la propria personalità a beneficio della musica. Lo dimostra la capacità e la partecipazione di tutti nella scrittura dei pezzi, nel cantarli, nell’imporre i propri gusti del momento. Lo dimostra il fatto che in realtà anche Taylor e May abbiano avuto esperienze da solista e che Freddie non sia stato il primo a farlo.
Il film avrebbe potuto approfondire tutto questo, invece fa passare i membri della band come tre insulse marionette che suonano e basta. Il regista avrebbe potuto parlare delle composizioni di Bryan May tra cui capolavori come “’39” e “Too much love will kill you”, oppure raccontare di quando fu sull’orlo di lasciare la band in quanto l’ultimo disco inciso, “Hot space”, a dir suo era troppo funky per un chitarrista hard rock come lui.
La figura di John Deacon è davvero marginale, ma stiamo parlando di un grandissimo musicista che ha contribuito alla grandezza dei Queen con pezzi come “One year of love” o “Spread your wings”.
Si poteva inoltre dare più importanza a Roger Taylor che oltre ad aver scritto “Radio ga-ga” era anche un leader silenzioso. Lo dimostra il fatto che ancora oggi porta avanti il nome dei Queen, anche se in modo alquanto discutibile.
La storia
Quando ho saputo che era in uscita il film dei Queen il mio primo pensiero è stato: “Se lo potevano anche risparmiare”. Ho visto molti film biografici e so bene quanto il racconto esaustivo una vita intera sia complesso da realizzare. In questo caso il problema è ulteriormente complicato dal soggetto: fare il film dei Queen è come fare il film dei Beatles, si tratta si mostri sacri che hanno una lunga storia. Ci sono aneddoti infiniti da raccontare, decenni di produzioni musicali variegate e tutte di qualità.
Il quarto disco è “A night at the opera” e contiene “Bohemian Rhapsody”, il pezzo che dà il nome al film. Anche in questo caso l’approfondimento è minimo, se si pensa che è l’argomento centrale.
Dopodiché sulla loro musica, niente più, ed il film si conclude con 20 minuti di performance che i Queen tennero al Live AID, oscurando di fatto uno dei live più belli di sempre, il Live Magic al Wembley Stadium del 1986, che consacrò i Queen davanti al mondo intero. Un’evento colossale.
Queste purtroppo sono state le scelte ed è un peccato perché c’era molto altro ancora per arricchire il film. I Queen dopo il quarto disco ne hanno incisi altri 11 tra cui era doveroso citare almeno:
- “A kind of magic”, colonna sonora dello storico film “Highlander”, con pezzi come “Who wants to live forever” e “One year of love” scritta dal bassista John Deacon.
- “Innuendo”, l’ultimo disco inciso prima della morte di Freddie con pezzi come “The show must go on”, o “Delilah” che il cantante scrisse per il suo gatto, con Bryan may che fa miagolare la chitarra (ascoltala qui).
Quell’ultimo periodo avrebbe mostrato come si reagisce al male con il sorriso sulle labbra, continuando a fare musica come niente fosse, con elegante discrezione. Freddie dichiarò la malattia alla band poco prima di incidere “Innuendo”, non quando racconta la pellicola, e pubblicamente ai fans solo il giorno prima di andarsene, assicurandosi una morte da persona normale anziché da rock star bella e maledetta.
Iscriviti alla Newsletter