Son passati esattamente 23 anni da quel 9 settembre del 1998 e 29 anni da quel 9 settembre 1992. Per me il 9 settembre è il mesto anniversario di due scomparse, di due persone estranee tra di loro ma non per me: nel ‘92 se ne andò la mia nonna Sira, quasi novantenne, tabagista e amante di Claudio Villa ma anche di Lucio Battisti, che morì ben più giovane di lei qualche anno dopo.
Il 9 settembre perciò entrambi mi ritornano in mente, belli com’erano, forse ancor di più uh uh uh. Credo che della mia nonna amante di Battisti pur se era un capellone interessi veramente poco a chi mi legge, eppure a suo modo era un’artista anche lei. Avesse avuto 20 o 30 anni oggi sarebbe un personaggio dei media e se ne sarebbe compiaciuta. Invece Lucio non era amante delle interviste, delle apparizioni in tivù e quelle che ha fatto sono effettivamente tirate per la giacchetta, con lui in evidente disagio. Lo scontroso Lucio Battisti disse no pure all’Avvocato, che gli offrì il Teatro Regio di Torino per un concerto.

Goffo, impacciato davanti alla telecamera, quelle esibizioni ‘forzate’ non avevano nulla di ciò che si trovava nei suoi dischi che ci facevano volare più di Mimmo Modugno “Nel blu dipinto di blu”. C’era una volta Lucio. Lucio Battisti.
Nel 1968 avevo 10 anni e lui cominciava ad avere successo, come autore e come interprete. Per me esiste un Battisti avanti Mogol e un Battisti dopo Mogol e quello dopo, son sincera, non mi ha mai persuasa. Non mi voglio immaginare, se fosse rimasto vivo e vegeto, dove sarebbe arrivata la sua carriera. Dubito che sarebbe tornato a comporre con Giulio Rapetti, col quale era arrivato a discutere di futili cose, quelle di noi comuni mortali, oltre a quelle meno futili come i quattrini. Partecipò a Sanremo tipo pesce fuor d’acqua, con quel pezzolino al collo che faceva molto hippy insieme alla criniera di capelli. Io non gli ho mai appiccicato l’etichetta di cantautore politicamente schierato: nei suoi testi c’era l’amore, non l’impegno di Guccini o Gaber, e dell’amore lui offriva il suo punto di vista, se si vuole anche opinabile.

Mia figlia trova tristi le sue canzoni, a me prende il magone perchè diversi anni fa riascoltai le sue canzoni dentro un blindato reparto ospedaliero di Ematologia, accanto a una cara amica che invece era riuscita a farlo amare dalla figlia piccola, rimasta poi orfana troppo presto. Mi fa un po’ strano che a qualcuno non garbi, Lucio Battisti, però ci sta: per dire, io non ho mai sopportato il sopra citato Guccini, come interprete musicale intendo. Non ho più riconosciuto il ‘mio’ Battisti senza Mogol, e Pasquale Panella per essere poeta non aveva bisogno di musica (per essere più popolare magari sì).
“Se sbatti un addio, c’esce un’omelette” (Fatti un pianto): ironica, bizzarra, sdrammatizzante, okay. E poi? Io sono rimasta al “prendila così, non possiamo farne un dramma”, alla “sensazione di leggera follia sta colorando l’anima mia”, al “nodo nell’anima, stesso desiderio di morire e poi rivivere”. Io ho volato cantando questi versi, che fanno un po’ male oggi pensando alla terra afghana e alle sue donne martoriate nel corpo e nell’anima, che forse avranno pure terrore di cantarsele dentro la testa le canzoni. “L’esistenza un volo diventò per me e la stagione nuova dietro il vetro che appannava fiorì” oppure “Seguir con gli occhi un aìrone (con l’accento sulla i) sopra il fiume e poi ritrovarsi a volare” oppure ancora
“Come può uno scoglio arginare il mare anche se non voglio torno già a volare… le discese ardite e le risalite, su nel cielo aperto e poi giù il deserto e poi ancora in alto, con un grande salto.”
Lucio Battisti è stato il mio autore classico della musica pop italiana per eccellenza: nello scorrere la discografia ho scoperto che nel brano “Il veliero” la chitarra era suonata da Ivan Graziani e che i diritti d’autore per “La prima cosa bella” cantata da Nicola Di Bari li percepivano Lucio e Giulio, in arte Mogol. Misteri delle canzonette, erano molto frequenti all’epoca inciuci simili. Io ho pianto, mi sono disperata, mi sono sentita a pezzi quando Lucio cantava quello che avevo nel cuore: “Domandarsi perchè quando cade la tristezza in fondo al cuore come la neve non fa rumore… e guidare come un pazzo a fari spenti…” “Eppur mi son scordato di te, come ho fatto non so” “Un tuffo dove l’acqua è più blu e niente di più. Non piangere, salame, dai capelli verde rame, è solo un gioco e non un fuoco..” “Amarsi un po’”, vi invito a riascoltarla, è la canzone – manifesto anti Covid per antonomasia (mi meraviglio non l’abbiano usata i no vax), davvero riascoltatela attentamente e provate ad inserirla nel contesto attuale tra distanziamento, mascherine e tutto il caravanserraglio dell’isolamento e della solitudine. “Volersi bene no, partecipare, è difficile quasi come volare.”

Mi sono divertita a ripescare la trascrittura dei testi per cogliere questi fiori musicali, mentre riascoltavo le canzoni: non è complicato seguire Lucio Battisti quando canta (quello dell’era Mogol, beninteso), lento, con le parole scandite, le dita scorrono bene la tastiera se anche il cuore è collegato come il wi-fi.
Riascolto e rivedo le musicassette e il mangianastri in macchina, estraibile a scanso di furto dei ladri che per un autoradio magari spaccavano i vetri facendo danni, che poi comunque “quel gran genio del mio amico, lui saprebbe cosa fare, lui saprebbe come aggiustare, con un cacciavite in mano fa miracoli”. E quante risate per il carretto che passava e quell’uomo gridava: Gelati! E quante grida tutti insieme, nella gita scolastica, per cantare “Che anno è, che giorno è? Questo è il tempo di vivere con te (…) e ho nell’anima, in fondo all’anima cieli immensi e immenso amore, e poi ancora, ancora amore, amor per te: fiumi azzurri e colline e praterie dove corrono dolcissime le mie malinconie…”
Non so se le cassette di Battisti ce l’ho ancora, da qualche parte, tra un trasloco e l’altro, i dischi ci sono ma non tanti: le bobine sovente non ricevevano il nastro, come fossero incantate e si doveva usare la biro per riavvolgere con cautela metri di filo marrone lucido, che conteneva musica e sogni. “Mi ritorni in mente, bella come sei, forse ancor di più mmmmh Mi ritorni in mente, dolce come mai, come non sei tu Un angelo caduto in volo, questo tu ora sei in tutti i sogni miei Come ti vorrei…” Un tormentone dietro l’altro, senza nostalgia canaglia e tutto il resto è noia (che ho creduto per tempo che il resto della noia fosse del Califfo e invece era Leopardi). Sono passati decenni ma mi si rizzano tuttora le antenne all’attacco di chitarra di “Ancora tu, non mi sorprende lo sai, ancora tu, ma non dovevamo vederci più? E come stai? Domanda inutile, stai come me,e ci scappa da ridere… Amore mio, hai già mangiato o no? Ho fame anch’io e non soltanto di te… Che bella sei, sembri più giovane o forse sei solo più simpatica” e son bordoni (brividi) sulla pelle. Mi rivedo giovane e innamorata, inconsapevole che la gioventù dura il tempo che ne pronunci la parola e vado a ricercare quelle canzoni che se le riascolto ora, specialmente quando il sole va a dormire, mi domando “perchè quando cade la tristezza in fondo al cuore come la neve non fa rumore”.
La luce dell’est, Io e te ( vento nel vento) e Umanamente uomo: il sogno, nessun 9 settembre le può seppellire.
Vero, nonna?
Cinzia Silvestri per UAU MUSIC