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Intervista a Emilia Maria Chiara Petri: ritratto e anamorfosi

Ritratto e anamorfosi: intervista a Emilia Maria Chiara Petri
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Scritto da Filippo Basetti

Ritratto e anamorfosi: intervista a Emilia Maria Chiara Petri | Filippo Basetti: UAU TALENT 

Ho conosciuto Emilia grazie alla comune amica e curatrice Carmen Schipilliti. Avevo visto di sfuggita una sua personale in uno spazio espositivo e mi aveva subito incuriosito il suo lavoro anamorfico e di estroflessione della tela.

In seguito l’ho conosciuta dal vivo allo spazio dell’artista Vince a Pistoia, per una mostra curata da Carmen e lì mi hanno colpito i suoi occhi: occhi magnetici che (suoi o no) ripropone con forza nelle sue pitture, occhi che catturano e che focalizzano l’attenzione, occhi che sembra cozzino con il suo fare e modo gentile di presentarsi, occhi che vedono un mondo tutto suo fatto di volti, corpi e persone.

Ritratto e anamorfosi: intervista a Emilia Maria Chiara Petri

Ed ecco qua cominciamo con “Ritratto e anamorfosi: intervista a Emilia Maria Chiara Petri.”

Chi è Emilia Maria Chiara Petri?

Sono nata nel 1983 a Bologna, dove tuttora vivo e lavoro, e sono cresciuta a Vergato, nell’Appennino bolognese, dove torno appena posso, non solo perché luogo di affetti familiari, ma perché il poter camminare in montagna mi fa sentire a casa. Amo profondamente la pittura, il mio principale mezzo espressivo, e il mio percorso pittorico si concentra sul ritratto e sull’anamorfosi.

Da quanto lavori nel mondo dell’arte? Cosa ti ha spinto a fare l’artista?

Il mondo dell’arte è un concetto molto vasto, oserei dire vago, e non potrei dare che una risposta relativa; se si intende come dimensione pubblica, ci lavoro da relativamente poco e saltuariamente: mi ci è voluto del tempo (faccio fatica a quantificare il prolungarsi delle mie indecisioni!) per scegliere di condividere con un pubblico più ampio della mia famiglia e di una ristretta cerchia di persone quel che dipingo. Disegno, pittura e scultura, per me, più che lavori in senso stretto rientrano nell’ambito della ricerca – introspettiva, esistenziale e tecnica – e, in questo senso, ho intrapreso questo percorso da adolescente e non l’ho più abbandonato. Non lo abbandono neanche quando per lungo tempo non porto a termine nessun dipinto, dato che il mio personale mondo dell’arte, angusto e spazioso ad un tempo, un vero e proprio ossimoro difficile da definire, è lo spazio di libertà e di chiusura che racchiude e svela le mie inquietudini, il mio desiderio di conoscenza, i miei entusiasmi e le mie contraddizioni.

Ritratto e anamorfosi: intervista a Emilia Maria Chiara Petri

In casa mia l’Arte è sempre stata di famiglia: una presenza viva, palpabile, a un tempo autorevole e amica, inarrivabile e così vicina, negli acquerelli di mio nonno, nei dipinti di mia mamma, nelle sculture di mio babbo, nelle note al pianoforte di mio fratello; in libri e oggetti che permettevano di scoprire stili e immedesimarsi in vite e tempi non vissuti direttamente; in fogli da disegno, pastelli, colori da olio, materiali verso cui provavo e provo un’inesauribile curiosità e un timore quasi reverenziale. Ho iniziato a studiare il ritratto ritraendomi allo specchio, perché è un buon modo per allenarsi – come suggeriva mia mamma – alle proporzioni, al tratto, all’ombreggiatura, ma soprattutto ad osservare e ad osservarsi, a non dare per scontato ciò che si pensa di conoscere, a soffermarsi sui particolari e allo stesso tempo imparare a tracciare le linee essenziali, a riconoscerle; a vedere nel piccolo e nell’insieme, sfocando per alleggerire la fatica dello sguardo, allontanarsi per ampliarlo e poi tornare a rimettere a fuoco e costringersi ad andare in profondità.

Ritratto e anamorfosi: intervista a Emilia Maria Chiara Petri

A chi ti ispiri o quali sono gli artisti che ti piacciono in particolar modo?

Sono molteplici le fonti di ispirazione; se si escludono le influenze familiari, il mio è stato un percorso da autodidatta, basato principalmente, quando possibile, sull’osservazione di opere dal vero in mostre e collezioni di musei. Lo studio della tecnica pittorica ha per me una valenza non solo formale: non posso prescindere da essa nella realizzazione di un’idea. Mi ha sempre affascinato lo studio della luce nella pittura ad olio,  da Jan Vermeer ai divisionisti; amo in particolar modo Giuseppe Pellizza da Volpedo e Giovanni Segantini; poi, senza alcun ordine cronologico o di priorità, Egon Schiele, Frida Kahlo, Medardo Rosso, Henri de Toulouse Lautrec, Francis Bacon, Piero Manai; fondamentale, per il mio percorso, anche il tema del movimento e le soluzioni offerte da opere di Giacomo Balla e Umberto Boccioni. Ce ne sarebbero tanti altri, anche di artisti viventi e la lista sarebbe lunga…Eron è forse uno dei miei preferiti e sicuramente non posso non menzionare il duo PetriPaselli: in tal caso l’influenza è stata ed è tuttora molto forte e reciproca.

Usi solo la pittura per esprimerti? Prediligi qualche tecnica particolare?

Per quanto riguarda la tecnica, sicuramente il colore ad olio è ciò che prediligo, ma no, la pittura non è l’unico linguaggio che utilizzo, o non esattamente: la scultura è parte integrante dei miei dipinti anamorfici, in cui interagiscono simultaneamente i due linguaggi visivi. La possibilità di aumentare i punti di vista e le possibilità comunicative di un’opera, attraverso la sovrapposizione e la collaborazione di più linguaggi, è un’idea che ha radici molto lontane nella storia dell’Arte ma che ha, per me, ancora oggi, meravigliose potenzialità da esplorare. Inoltre continuo ad amare molto il disegno, a grafite, principalmente.

opera d'arte

Quali sono i progetti artistici o le opere in cui più ti riconosci e perché?

Anche in questo caso mi è difficile stabilire una gerarchia, fare una vera e propria selezione di progetti e opere. Direi forse il primo progetto in cui mi sono cimentata nell’anamorfosi, o meglio, in cui ho scoperto, dopo un lungo periodo di stasi, che mi interessava principalmente esprimermi attraverso quella ricerca di vuoti e pieni, di giuste distanze con l’opera e di spazi dentro e al di fuori di essa, necessari per comprenderla: il progetto, del 2016, si è concretizzato in una mostra che si è tenuta a Pistoia, dal titolo Dell’idea inespressa e del Tutto scartabile, a cura di Carmen Schipilliti.

Di certo l’opera in cui mi riconosco di più, in assoluto e senza dubbi è l’ultima, di cui esploro incessantemente la fattibilità, che ho ben in mente e che devo ancora realizzare, che sarà un po’ più completa delle altre, o forse non sarà affatto.

Domanda UAU: Qual è il tuo libro preferito, il tuo piatto preferito e la tua canzone preferita?

Impossibile dare risposte assolute anche in questi campi! Tra i libri, restando nel regno della pittura e della necessità di continuare a perseguire un proprio ideale artistico, direi L’Opera di Emile Zola.

Il mio piatto preferito non esiste, apprezzo più la varietà che un piatto in particolare; e ci sono troppi fattori che possono determinare la variabilità di uno stesso piatto.

Come si fa a scegliere una canzone? In quale periodo della propria vita? Ne metto almeno due, tra le tantissime che amo: House with no door dei Van Der Graaf Generator e Hotel Supramonte di Fabrizio De André.

Ritratto e anamorfosi: intervista a Emilia Maria Chiara Petri

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Ed ecco terminato il mio articolo “Ritratto e anamorfosi: intervista a Emilia Maria Chiara Petri”. Se sei interessato a farti conoscere attraverso le interviste di UAU TALENT contattaci!

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