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Come ti omologo l’iconoclasta

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E dunque la notizia è stata diffusa: Danny Boyle, proprio quello di Trainspotting, realizzerà per una piattaforma TV della Disney (!!) una miniserie dedicata alla storia della band icona del punk, quei maledetti Sex Pistols che troppi avevano frettolosamente messo nel dimenticatoio e che oggi sono improvvisamente oggetto di un rinnovato e più consapevole interesse.

Diciamolo, il gruppo prodotto e lanciato da Malcom McLaren non annoverava grandi musicisti, ma aveva una sua ragione di esistere e soprattutto qualcosa da dire, rinvigorito anche da una carica di iconoclastia che ne caratterizzava lo stile.

I Sex Pistols sono finiti come era prevedibile: strozzati dai propri stessi eccessi, ma soprattutto finiti perché l’industria discografica, cui i quattro ventenni incazzati sbatterono in faccia contraddizioni ed ipocrisie, decise di vendicarsi nel modo più subdolo e crudele, ovvero ricambiando ogni insulto con soldi ed eroina facile.

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La cosa interessante, tuttavia, è che qualcuno si sta accorgendo di ciò che si muove intorno all’epopea del punk e dei suoi epigoni, tornati improvvisamente d’attualità proprio perché il messaggio di protesta e dura critica all’establishment occidentale torna a riscuotere interesse fra le schiere sempre più numerose dei figli sfigati dell’economia globale.

E’ ovvio che il racconto rivoluzionario in confezione patinata dei Sex Pistols non è esattamente disinteressato, intriso com’è di consumismo mediatico e di voglia di omologazione: direi quasi che dietro l’apparente celebrazione dei quattro ribelli ventenni, storditi di soldi, di successo e di droga, ci sia il tentativo di riconsegnarli al cassetto delle vecchie glorie del rock, disinnescando la portata del loro messaggio e relegandolo al rango di una colossale provocazione, magari geniale ma alla fine velleitaria come l’ideologia del non saper suonare.

E’ la triste storia del punk, odiato, celebrato, consumato come un pacchetto di sigarette di contrabbando ed alla fine messo in un angolo fra i ricordi che non si possono esibire in pubblico.

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Poco importa che Johnny Rotten sia ancora in giro a cercare nuove provocazioni, fra i documentari dedicati agli insetti e l’endorsement per Donald Trump, perché in realtà l’unica cosa che sembra importare ai produttori della serie televisiva è impacchettare tutta la questione in un bel prodotto commerciale e consegnarlo all’oblio.

E’, pari pari, la storia di Giovanni Lindo Ferretti, che vede ormai i suoi brani eseguiti nei talent show ed è costretto a professare la propria adesione al centro destra per poter salvare qualcosa della sua carica di trasgressione.

Perché alla fine l’iconoclastia e la critica feroce del punk fa davvero paura: altrimenti, perchè mai l’industria dell’ovvio e del banale, quella che vende storie come lattine di coca cola, dovrebbe avvertire questo morboso desiderio di omologarlo?

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Stefano Del Giudice

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