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Scritto da Elena Barbati

Intervista a Matteo dei Baryonyx per Uau Music, la rubrica dedicata ai giovani artisti emergenti.

Dopo l’appuntamento con il cantautore Floridi, è una band a salire sul nostro “palco digitale”, i Baryonyx.

In realtà il protagonista dell’intervista è Matteo Ceccarini, il frontman, che comunque parla sempre al plurale, includendo il chitarrista Antonio Morelli.

Se qualcuno leggendo si stesse chiedendo cosa significhi Baryonyx, #letmegooglethatforyou : Wikipedia ci suggerisce che sia la definizione di un genere estinto di dinosauro, vissuto nel periodo Cretaceo Inferiore, circa 130-125 milioni di anni fa.

E: La prima domanda che immagino venga in mente anche ai nostri lettori è: perché avete scelto questo nome per la vostra band?

M: In realtà noi suoniamo da più di dieci anni; nel 2008 scegliemmo il nome Overdrive, per poi renderci conto di quanto fosse comune tra le band di tutto il mondo e quindi di quanto non ci rendesse esattamente riconoscibili. Così passammo a Overdrive Insight, che però non ci soddisfava completamente. L’ultima scelta è ricaduta sull’attuale Baryonyx, che effettivamente si sposa con la nostra passione per i dinosauri e per Jurassic Park, con cui siamo cresciuti.

E: I Baryonyx nascono a Livorno. Motta in Vivere o Morire canta

Livorno è una città strana, piena di gambe nude e personalissime posture

La città della Terrazza Mascagni, tra rombi, scogli, vicoli e canali, ha ispirato molti artisti, tra cui Bobo Rondelli, Enrico Nigiotti, fino a Motta stesso. Come influisce Livorno sulla musica?

M: Probabilmente è l’aria del mare che ispira (ride, ndr). Apparte ciò, a Livorno soprattutto negli ultimi anni si stanno formando molti artisti e stanno nascendo varie band. Con alcuni siamo in contatto, è sempre bello confrontarsi, soprattutto con generi diversi.

E: A proposito di generi, vorrei parlare della vostra evoluzione musicale. Un percorso che parte da sonorità alternative rock, passando per la musica elettronica, fino ad approdare oggi nelle playlist Indie.

M: Nel 2008 eravamo giovani, nacque una band liceale formata da amici e iniziammo a suonare musica punk. Nel corso degli anni poi abbiamo collaborato con diversi musicisti, ma il nucleo centrale del gruppo siamo sempre stati io e Antonio. Dopo questa prima fase, sentimmo però la necessità di cambiare, di intraprendere un nuovo percorso e approdammo all’hard rock con il nostro primo disco, Trias (2012). Dopodiché ci dirigemmo in direzione della musica elettronica, con Fuori il Blizzard (2016), un album ricco di canzoni non-sense e assolutamente non orecchiabili, ispirandoci ai Verdena. Purtroppo però questo progetto non esplose e non riuscì a raggiungere molti ascoltatori. Fino a che due anni fa dei nostri amici ci fecero ascoltare qualche artista Indie, un genere che ci piacque e così decidemmo di scrivere Mistico.

Mistico Baryonyx
Copertina del singolo Mistico

E: Infatti dal 2018 i Baryonyx iniziano ad essere inseriti nelle playlist Indie di Spotify, merito appunto di Mistico, seguito da Quarzo, Demone e Umami. Questi quattro singoli hanno una copertina grafica che raffigura diversi Game Boy e che sembrerebbe riunirli in un unico progetto. Se è così, qual è l’idea che c’è dietro? Verranno riuniti in un album?

M: Effettivamente Mistico è stato un punto di svolta, sarebbe dovuto essere il nostro ultimo tentativo, ma si è rivelato quello decisivo. Contemporaneamente su Instagram abbiamo scoperto il grafico Sigiu Bellettini, che crea delle opere visive in stile Vaporwave e a cui ci siamo affidati per la realizzazione della copertina prima di Mistico, poi degli altri singoli.

Il richiamo è alla tecnologia, al mondo dei videogiochi, ai nostri amati anni ’90. Ad Antonio venne in mente per ogni singolo di far fuoriuscire un elemento dal nostro Game Boy, per raccontare – a partire dalle copertine – le nostre canzoni e veicolare il messaggio che contengono.

Ci evolviamo e sperimentiamo molto, cercando di non essere mai il clone di noi stessi. Ogni canzone è come una tisana, ha un sapore sempre diverso: ad esempio Demone ha un sapore differente da Quarzo. Antonio spesso dice che la nostra musica è un All you can eat, in cui ogni ascoltatore può scegliere il piatto che più preferisce tra un’ampia scelta.

Alla domanda “verranno riuniti in un album?” rispondiamo di sì, anche se per noi non è di primaria importanza. Oggi il panorama musicale è molto diverso da quando abbiamo iniziato a fare musica nel 2008, quando se non avevi un album pronto il tuo progetto non poteva esplodere. Ora invece con Spotify si è diffusa la cultura dei singoli. Così, di singolo in singolo, ci siamo fatti conoscere progressivamente dal pubblico.

Piccolo Spoiler: prossimamente uscirà una settima canzone – che è il proseguimento di Birramisù – e un ultimo inedito che comparirà nel disco completo.

E: Come si fa a non rimanere intrappolati nei numeri di Spotify? Come può un artista rimanere indifferente dalle percentuali, dalle statistiche che ogni giorno governano l’universo di Spotify?

M: Semplicemente portando avanti la sua passione. Nel 2018, quando iniziammo la nostra carriera nel mondo Indie, parlando con Riccardo (Zanotti, ndr) dei Pinguini Tattici Nucleari e con Nelson (Venceslai, ndr) dei Rovere mi interrogavo su cosa servisse per riuscire in questo genere: l’idea comune è stata quella di perseguire gli interessi e le passioni, riversandole nella musica.

E: Per te cosa significa essere Indie? Voi ad oggi vi riconoscete in questo genere?

M: Per me vuol dire non avere un’etichetta major alle spalle. Chi fa musica Indie, non è solo chi scrive e canta come tipo Calcutta. Indie significa indipendente, è una posizione che ricopri. Da questo punto di vista anche la trap di Gemitaiz è considerabile Indie.

Noi comunque siamo sul filo del rasoio, ci definiamo Indie, ma no (ride, ndr). Quarzo ad esempio non è Indie, abbiamo inserito delle sonorità swing che non si associano certo né a Gazzelle, né a Tommaso Paradiso.

Per Umami vale lo stesso discorso: non è prettamente Indie, per il ritornello abbiamo usato uno strumento irlandese – chiamato bouzouki – che restituisce un suono etereo, quasi impercettibile da sentire, che trasmette la sensazione dell’aria che scorre. Un suono che senti, ma no. Come noi, che ci siamo, ma no.

E: Insomma, i Baryonyx sono una contraddizione in termini!

M: Sì, direi un contrasto. Umami, la nostra canzone più particolare in assoluto, ne è la conferma: l’avevo scritta in Italia, poi durante il mio viaggio in Thailandia – mentre facevo il bagno con gli elefanti (un verso di Umami, ndr) – ho avuto l’illuminazione di cambiare la seconda strofa, scrivendone una parte nel tragitto della Thailandia continentale e un’altra nell’aereo per Phuket.

È una canzone dedicata a Bangkok. Umami è un contrasto, esattamente come Bangkok: ci sono palazzoni alti, ma anche la baraccopoli, c’è l’asfalto, ma anche l’erba.

Il giorno si vive in un ambiente rurale, rustico, mentre la notte scende un’atmosfera psichedelica. Infatti in Umami la strofa è suonata con la chitarra, restituendo una dimensione più rustica e semplice, mentre il ritornello è realizzato con sintetizzatori K-Pop, che rendono l’atmosfera notturna di cui ti parlavo. Umami cambia dal giorno alla notte, esattamente come Bangkok.

Umami
Copertina del singolo Umami

“Senza una promozione, senza un ufficio stampa, senza Indie Italia, senza uno studio, senza neanche un microfono”

E: Arriviamo a marzo 2020: lockdown in tutta Italia. Esce il vostro singolo Birramisù, che inizia ad essere ascoltato da decine di migliaia di persone, fino ad arrivare oggi a 210 mila streams su Spotify. Insomma… un vero e proprio fenomeno musicale. Cosa pensate che abbia reso questo singolo così amato? 

M: Birramisù è una canzone che nasce sul letto, spontaneamente. È una canzone nata dal cuore, partendo dal ricordo di quando mangiai il birramisù – una variante del tiramisù classico – a Monteriggioni. Iniziai a scrivere il testo e convinsi Antonio a registrarla: registratore del cellulare, chitarra, un giro di pianoforte e via. Senza uno studio di registrazione, senza un microfono, nuda, fatta in casa, come il pane di una volta.

Probabilmente in tanti si sono riconosciuti in Birramisù, in un momento difficile per tutti. Io in realtà non ho voluto raccontare la quarantena, perchè avrei rischiato di circoscrivere la canzone a un solo momento storico. Ho inserito infatti riferimenti al passato – come il gol di Cafù, il ricordo del Birramisù, il desiderio di andare in Perù – per renderla una canzone ascoltabile anche non in quarantena.

E: Ultimamente vengono organizzati concerti in Streaming e la realtà virtuale sembra sempre di più un’opportunità per non perdere totalmente il contatto con il pubblico dei Live. Quali ritenete che siano i vantaggi e gli svantaggi di questi eventi digitali?

M: Il vantaggio è la possibilità di regalare l’intrattenimento al proprio pubblico: un concerto in Streaming tiene la community unita, ma certamente manca il cuore e l’affetto del pubblico sotto il palco. Si perde l’empatia.

E: Per concludere la nostra chiacchierata, ti pongo quella che noi chiamiamo la domanda UAU: hai un sogno nel cassetto, un’esperienza che vorrai fare prima o poi, anche se al momento ti sembra impossibile da realizzare?

M: Non parlerei di sogni, quanto di progetti futuri: nel 2021 sicuramente uscirà il disco, come ti dicevo. Speriamo di raggiungere più ascoltatori possibili e che piaccia.

Non ti parlo di sogni semplicemente perchè da piccolo vedevo i concerti degli artisti e pensavo quanto fossero fortunati nel condividere la propria passione con il pubblico. Oggi questo noi l’abbiamo raggiunto, non abbiamo certo il pubblico di Vasco Rossi (ride, ndr), ma ci siamo costruiti una community attiva, con cui confrontarci e instaurare una sinergia totale, tra musica e emozioni.

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Potete ascoltare i Baryonyx su Spotify e seguirli sui loro canali Social, Instagram e Facebook.

Buona Musica!

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