Riporto qui di seguito la mia intervista al regista per UAU People la rubrica dedicata al mondo del costume e dello spettacolo.
Glassboy, opera seconda del regista toscano Samuele Rossi. Una storia con qualcosa in più. Ti colpisce in ogni scena ma non in modo evidente. E’ l’effetto speciale che prende il nome di emozione di cui tutto è pervaso.
Qual è stato l’istante in cui hai sentito dentro di te nascere il seme di questo progetto? Perchè raccontare la storia di Pino?
Glassboy si sovrappone ad un cambiamento forte nel mio percorso di studio e di crescita che mi ha fatto riavvicinare al cuore originario della mia passione cinematografica, senza sovrastrutture e artifici. Cercavo nuove prospettive tematiche e volevo esplorare linguaggi diversi, senza però piegarmi a etichette autoriali obbligate. Volevo sentirmi libero di esplorare il cinema secondo anche una prospettiva diversa. Dopo l’esperienza di studi a New York mi sono sentito quasi rinnovato di fronte alle scelte cinematografiche
che sentivo di voler fare: è in questo momento che è iniziata la ricerca di una storia diversa e di un modo di raccontare diverso.

Questo mi ha riportato al cinema che mi emozionava da bambino e nel quale trovato grande autenticità e verità. Da lì ho incontrato “Il bambino di vetro”, il libro di Fabrizio Silei. Un bambino con un limite che rappresentava una straordinaria metafora per
raccontare non solo l’infanzia ma anche il nostro presente. Oltre la finestra che nasconde quel bambino al mondo ho visto una meravigliosa battaglia da affrontare e vivere: quella della vita stessa.
Si parla di fragilità e diversità. Un mondo visto attraverso un vetro e un bambino che ha il coraggio di volerne fare parte oltre le sue difficoltà. Cosa c’è del Samuele bambino nei ragazzi di GlassBoy e cosa loro ti hanno insegnato o su cosa ti hanno fatto riflettere?
C’è molto di me in Glassboy, come del me bambino. Ci sono i miei ricordi. Ci sono le mie timidezze e la voglia, nonostante tutto, di sentirsi parte di qualcosa di speciale, di un gruppo di amici. C’è l’infanzia come luogo di purezza e magia. C’è l’amicizia come elemento di formazione e scoperta del sè. C’è la capacità di sognare al di là del dato reale (che è una dote innata dei bambini). C’è la voglia di meravigliarsi, di lasciare che lo stupore prenda il sopravvento su tutto. Una qualcosa che ho sempre cercato di mantenere viva in me, anche ora che sono un adulto. Una luce contagiosa che i bambini del film hanno costantemente portato sul set. Lo stupore e la meraviglia come
strumenti di accesso alla “magia” della realtà: questo per me non è solo l’infanzia, ma un tratto necessario della vita stessa. E che faccio di tutto per mantenere vivo, sempre.
Un film vissuto su due dimensioni : la prima quella del bambino di vetro e la sua voglia di essere come gli altri, la seconda quella degli adulti che guardano con apprensione la voglia di vivere di Pino.

Al centro il rapporto fra adulti e bambini, fra favola e realtà. Cosa può insegnare Glassboy agli adulti di oggi?
Non so se un film possa insegnare qualcosa, almeno non parto mai con quest’idea. Scrivo storie. Cerco di portare dei temi. Cerco soprattutto di emozionare, di far riflettere (volendo). Non so dire se questo poi possa trasformarsi anche in insegnamento. Resta il fatto che ritengo fuorviante considerare l’infanzia come unico luogo di crescita e cambiamento: ognuno di noi cresce e cambia per tutta la vita, in modo sempre diverso e nuovo. Ho provato a raccontare semplicemente questo: un mondo degli adulti che per
interagire con Pino e la sua malattia ha bisogno di trovare nuovi strumenti, dunque crescere, forse cambiare. Credo sia questo un tema fondamentale nel film. Come lo è nella vita. Tutti noi siamo sempre in cammino come esseri umani, di conseguenza abbiamo bisogno di capire più e meglio quello che ci circonda e ci accade, cambiare, crescere, trasformarci.

Il racconto della vita “isolata” di Pino è affidata ai disegni dentro il suo diario. Chi è l’illustratore che ti ha seguito in questo percorso e come insieme avete affrontato il racconto di un “isolamento” forzato?
E’ curioso, ma il disegno è stato un elemento che è ritornato nella sceneggiatura. In alcune stesure il dispositivo usato da Pino era un altro. Poi negli ultimi mesi mi è apparso evidente che mancasse qualcosa, che c’era la necessità di tornare al disegno che è parte anche del libro di Silei, ma che ovviamente caratterizza l’infanzia di tutti. Ho solo optato per il fumetto, legandolo alla passione dei supereroi, che mi è parso un modo giusto per
attualizzarlo al personaggio e ai nostri tempi. Questo si è profondamente intrecciato al lavoro che ho fatto con Mirko Filippi, l’illustratore con cui ho collaborato per la realizzazione dello storyboard e dei fumetti nel film. Con lui è stato un viaggio intensissimo di un anno e mezzo che mi ha portato ad immaginare il film inquadratura per inquadratura con largo anticipo, permettendomi così di definire il mondo visivo di Glassboy dettaglio per dettaglio.

2020: anno difficile che non ha fermato il cammino di Glass Boy. Quali sono state le difficoltà incontrate per realizzare il film e quali le soluzioni?
Le difficoltà sono state tante. Ma sono state precedenti alla pandemia, che ha invece inficiato sulla distribuzione del film. La perdita della possibilità di confrontarsi ampiamente con il pubblico, soprattutto dei più piccoli, ci ha tolto un momento importante, soprattutto perché il film ha avuto larghi consensi e abbiamo avuto conferme estremamente importanti sia in termini numerici che di gradimento sul fatto che il film coinvolga in modo sorprendente grandi e piccini. Questo era il mio obiettivo. E sono quindi felice che Glassboy lo abbia permesso. Non poterlo vivere direttamente insieme al pubblico toglie qualcosa di importante al mio lavoro e al senso che rappresenta. Confido
però che questo possa avvenire comunque non appena nei prossimi mesi ci avvicineremo ad un graduale ritorno alla normalità.
Un’atmosfera da favola che richiama i film cult degli anni 80. “E.T.”, “I Goonnies”, “Ritorno al futuro”. Cosa ti colpisce di questi film e quali caratteristiche vorresti ritrovare nel cinema di oggi che secondo te negli anni sono andate perdute?
Quello che in quei film mi ha sempre colpito (e che si ricollega all’elemento cardine dell’infanzia) è la voglia di meravigliarsi, la capacità assoluta e necessaria di stupirsi di fronte alla bellezza della vita, di abbandonarsi al potere della fantasia e del magico presente in ogni aspetto dell’esistente. Il cinema di cui quei film fanno parte nasce da sguardi che hanno deciso di accettare il magico (che è proprio dell’infanzia) e hanno lasciato che la meraviglia prendesse spazio: Spielberg su tutti. Questo significa di
conseguenza ammettere un cinema che rispetti profondamente il pubblico, un cinema che sorprenda, coinvolga, attragga, faccia vivere avventure inaspettate in cui perdersi totalmente, condurlo in un’altra dimensione da scoprire ogni volta, in cui ritrovarsi o rivedersi in modo diverso. Guardare al mondo con gli occhi di un bambino: mi sembra un gesto non solo necessario oggi, ma anche rivoluzionario a tratti. E in un cinema come quello degli ultimi 20 anni, soprattutto quello italiano, votato totalmente al realismo lo è ancora di più.
Particolare menzione per la colonna sonora ad opera di Giuseppe Cassaro. A cosa vi siete ispirati? Cosa vuole raccontare e quali emozioni vuole lasciare a chi l’ascolta?
L’ispirazione per Glassboy viene dallo stesso mondo cinematografico cui ho tratto linfa per la costruzione narrativa e visiva: il cinema anni ’80 come la prima filmografia di Walt Disney o alcuni adattamenti più contemporanei, sempre però consonanti a quel linguaggio. Quindi John Wiliams e Alan Silvestri su tutti. Avevamo bisogno di una musica ampia, che richiamasse in modo diretto quel cinema attualizzandolo e riproponendolo però in una veste attuale. E’ la strada che abbiamo scelto con Giuseppe per definire il mondo musicale di Glassboy: lavorando sulle reminiscenze degli spettatori, su un immaginario ben chiaro e al contempo rielaborandolo in chiave contemporanea. L’obiettivo era definire anche con la musica il magico e la meraviglia presenti nella vita di tutti i giorni, soprattutto se filtrato attraverso lo sguardo dei bambini.

Dal 1° Febbraio On Demand su tutte le principali piattaforme finalmente potremo vedere Glassboy. Un piccolo segnale di un cinema che non si ferma neanche davanti la pandemia. Il mondo della cultura è in profonda crisi e sta trovando nello streaming e nel mondo dei social network un’ancora di salvezza. Qual’è il tuo punto di vista a riguardo?
Essere usciti On Demand ci ha costretto ovviamente a rimandare il confronto in sala con il pubblico che è sempre un momento decisivo e suggestivo per un regista e chi ci ha lavorato. Inoltre il cinema è l’unico modo attraverso cui possiamo godere di un film al massimo delle sue potenzialità: non ne esiste un altro. Siamo ad ogni modo soddisfatti di aver potuto portare il film al pubblico in un momento dove era necessario prendere decisioni forti e controtendenza. Non potevamo lasciare il film ancora ad attendere. Così abbiamo deciso di farlo uscire. Il momento con il pubblico, sono sicuro, avverrà comunque più avanti. Le sale riapriranno, in estate come dopo, e Glassboy avrà comunque il suo spazio.
Glassboy è ora un prodotto finito da mandare libero nel mondo, come
quando un bambino lascia la mano del genitore per avventurarsi nel suo
primo giorno di scuola. Quali sono i tuoi nuovi progetti e quali temi ad oggi
senti esploderti dentro con la necessità di essere raccontati?
Sono in un momento di grande creatività. Sto scrivendo da mesi. Progetti diversi, di vario genere, che vanno in direzioni nuove. Sento attorno energie molto positive, in parte generate anche da Glassboy, e sento importante seguirle. Sto sviluppando il mio nuovo film, che parte dal linguaggio usato in Glassboy evolvendolo però in una direzione diversa, più complessa sia nel linguaggio che nell’utilizzo dei generi: quello della fantascienza e della distopia. I “miei bambini” crescono stavolta in un mondo avverso e nemico: immagino che sia per me l’esigenza di raccontare un momento diverso della vita, quello immediatamente successivo all’infanzia: l’adolescenza. Se Glassboy era la mia lettera d’amore all’infanzia ora con il nuovo progetto indago la trasformazione, il conflitto, la difficoltà del cambiamento quando l’infanzia lascia lo spazio all’adolescenza. Inoltre, ho appena finito di scrivere un nuovo film documentario per un importante piattaforma e proseguo con la scrittura di una serie, oltre ai nuovi progetti Echivisivi (un format sulle ossessioni nella storia dell’arte e un film documentario su Carmelo Bene). Mi trovo all’interno di un periodo di tempesta creativa, il momento intenso e stimolante che precede l’azione, e sto cercando di viverlo a fondo.

Aldilà del frastuono, la meraviglia. Aldilà del chiacchiericcio, lo stupore. Aldilà del torpore, la vita. Bisogna sempre andare oltre anche quando una finestra chiusa si para davanti ai nostri sogni. Cambiare linguaggio, mutare le reazioni. Osservare con pazienza e ricordarci quanta bellezza ci sia nella semplicità. Glassboy per me è stata aria fresca. Un film sincero. Una storia da amare.
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