Sono storie di donne, di generazioni, di emozioni che si ripetono, quelle raccontate da Antonella Ruggiero e Ilaria Gelmi nel loro spettacolo dal nome “Corpi al vento” di cui ci hanno fatto innamorare raccontandoci i retroscena del viaggio attraverso le loro protagoniste di un tempo lontano: Pasifae, Arianna, Fedra.
Perché la vostra scelta è caduta sulle storie di Pasifae, Arianna e di Fedra?
La nostra avventura teatrale insieme nasce per gioco o quasi.
Io e Ilaria ci siamo conosciute frequentando un laboratorio di teatro di narrazione tenuto ogni anno dal maestro Roberto Anglisani a Ceglie Messapica (BR), organizzato dalla Compagnia Armamaxa. Lì ci siamo incontrate e il terzo anno di laboratorio il tema era il mito. Due i testi di riferimento: un classico, “Le metamorfisi” di Ovidio e un testo contemporaneo “L’amore prima di noi” di Paola Mastroccola, un bellissimo libro che consiglio soprattutto alle donne che vogliano avvicinarsi al mito ma temono il confronto con la mitologia, o che hanno paura di perdersi nel labirinto di storie che la caratterizza. È un libro sull’amore, raccontato attraverso le storie, gli sguardi, le parole e i sentimenti di donne protagoniste di storie celebri del mondo classico.
Tra queste c’erano anche le nostre tre protagoniste: Pasifae, Arianna e Fedra.
Ma è stata Fedra la prima che abbiamo scelto di raccontare. Ha un fuoco che le brucia dentro, una passione incontrollabile, che non riesce a governare. Cosa accade al corpo, all’anima, alla vita, ai pensieri quando si è agitati da una passione d’amore?
Esiste in noi (o almeno nella maggior parte) l’ardente desiderio che arrivi il giorno in cui qualcosa ci sconvolga profondamente come una passione travolgente sa fare.
E se quell’amore fosse proibito, illecito, anormale… sarebbe un’avventura ancora più eccitante?
Quale amore è giusto e quale no? Perché frenare un sentimento? E se non si riesce a frenarlo? Cosa succede? Cosa ci succede?
Donne scomode pervase da una forza dirompente che deriva dai loro sentimenti. Prive di giudizio indossiamo i loro panni e ci facciamo trasportare dal mare (altro protagonista di questa storia).
È sempre per mare che l’amore arriva o si allontana. È il mare che guardano e guardando quell’orizzonte, aspettano, urlano, si lasciano andare.
Qual’è il filo che collega queste tre figure?
C’era qualcosa che si ripeteva in queste storie come un filo che le legava, lo stesso che abbiamo deciso di prendere e dal quale ci siamo fatte condurre.
Spesso ci sono ripetizioni che passano di madre in figlia, che anche se vuoi evitarle, loro si presentano. Quante volte abbiamo detto di non essere come le nostre madri e ci siamo ritrovate a comportarci nello stesso modo? Quante ripetizioni ci sono nelle storie di una famiglia? Si può interrompere questo ciclo? Si può tagliare il filo? Le storie che si ripetono nelle famiglie, riguardano anche la sfera maschile. Tutti possono sentirsi di farne parte, tutti possono sentire il desiderio di tagliare quel ripetersi ed essere consapevoli di ciò che non si vuole più, per essere, così, liberi.
Il filo che le unisce è una condanna a storie d’amore impossibili, illegittime, scandalose, indecenti.
Quali fragilità si nascondono dietro la grande forza usata nell’affrontare il proprio destino?
Sono donne fragili, se fragile significa darsi il permesso di farsi prendere dalle proprie passioni e viverle pienamente senza farsi castrare da quello che gli altri ritengono essere un comportamento consono per una donna. Sono donne che si sono ribellate ad una immagine prestabilita, hanno agito, si sono date il permesso di sentire, di farsi travolgere.
Fedra, che era una donna che sapeva aspettare, ha cercato di non esplicitare quella sua passione facendosi bruciare dentro desiderando il figliastro Ippolito. E’ stata poi la nutrice che, capendo il “male” della sua regina, ha deciso di confidarlo a quel giovane – il suo figliastro – e lei, Fedra, non l’ha fermata.
Arianna ha messo in gioco tutto per poter fuggire e sperare un futuro diverso per lei, forse voleva scappare dal destino di sua madre. Ha voluto giocarsi tutto per quell’uomo venuto dal mare. Non si sa come se la sarebbe cavata Teseo se non ci fosse stata Arianna col suo filo, che per quel giovane accetta che sia sacrificato suo fratello – il Minotauro -, decidendo infine di lasciare la sua isola. Lascia tutto per quel giovane.
La loro madre, Pasifae era una donna che non sapeva aspettare. Ha sentito un forte desiderio e neppure per un attimo ha fatto intervenire la sua mente rimanendo totalmente nel suo sentire. Solo dopo l’atto, dopo essere stata con quel meraviglioso toro bianco, solo dopo che ha sentito crescere dentro di sè qualcosa di mostruoso, ha capito le conseguenze del suo agire, non ha potuto sostenerle e si è tolta la vita impiccandosi (come le sue figlie).
Quando accade che non riusciamo a sostenere le nostre azioni, conseguenze di forti passioni? Quanto è libera la donna che non permette di farsi prendere da un suo grande desiderio, qualsiasi esso sia, per sostenerlo fino a che diventi realtà anche se da lei si aspettano altro?
Cosa c’è di contemporaneo in queste donne?
La difficoltà di conciliare ciò che gli altri si aspettano da loro e quello che nutrono nel loro profondo.
Il mito ha la forza di essere sempre contemporaneo, così noi donne possiamo ancora riconoscerci e confrontarci con le donne del mito, ognuna delle quali ci mostra una parte in noi non sempre manifesta.
Le storie cambiano ma non l’animo dell’uomo che resta sempre lo stesso. Credo che ci sia un mito per ognuno di noi, in ogni momento della nostra vita, un mito che ci possa consolare, che ci possa fare sentire meno soli, perché quello che accade a noi è già accaduto prima di noi. Riconoscersi in Dafne, che fugge un amore che non vuole, in Cassandra che prevede ma non viene creduta, in Persefone che vive sei mesi di buio e sei mesi di luce, in Elettra che cerca vendetta, in Eco che rincorre un amore ma non è ricambiata, in Aracne punita per aver osato sfidare chi era troppo in alto… e l’elenco è infinito!
Lo spettacolo inizia parlando della creta, dell’isola e della materia. La creta che sembra fragile ma cotta al calore del fuoco diventa resistente. La creta dalla quale secondo la mitologia greca, Zeus creò la prima donna Pandora. A Pandora Zeus donò un vaso e le ordinò di non aprirlo, ma la curiosità è donna, si dice. Pandora aprì il vaso e vennero fuori tutti i mali del mondo. Questo è un mito che fa di Pandora la colpevole dell’esistenza di tutti i mali del mondo. Credo che troppo spesso le donne siano tacciate di essere colpevoli, che troppo spesso si sentano in colpa… che questo mito come Eva Cantarella racconta bene ne “Gli inganni di Pandora” sia all’origine delle differenze di genere. Per i Greci le donne erano il genere maledetto e non è un caso che molte figure legate alla Morte fossero rappresentate da divinità femminili (Ecate, Perfesone, Ker, Le sirene).
Pensando a tutte le tradizioni e culture che sono esistite al mondo e tutt’oggi possiamo studiare, la donna ha sempre avuto un ruolo magico e spesso è stata protagonista di miti e leggende per spiegare qualcosa che di spiegabile non è mai fino in fondo: le emozioni. Perchè secondo voi?
Perchè le donne sono collegate alla parte non razionale, sono portatrici di una conoscenza antica collegata al rapporto con la terra, le fasi lunari, la relazione con mondi non sempre manifesti. Sono da sempre state un ponte tra questo e altri mondi e spesso proprio per questo sono state perseguitate, bruciate. Con l’arrivo del patriarcato hanno perso il loro potere.La donna ha per natura un ruolo magico perché dona la vita.
Lei conosce il mistero della vita che all’uomo è negato.
L’acqua nella sua pancia, è l’acqua delle emozioni.
Il ciclo naturale in lei ogni mese di compie e segue le fasi della luna, c’è una naturale connessione. Le emozioni sono connesse alla sua natura. È facile nel XXI secolo, negare tutto ciò, e cercare di diventare simili agli uomini, cercare la forza, l’efficienza, la praticità, la virilità. Possiamo farlo ma dobbiamo stare attente a non negare quello che siamo, a non negarci, altrimenti autorizzeremo a che questo schiacciamento del nostro ricco universo emotivo venga posto in atto anche da altri.
“Donne che corrono con i lupi” di Clarissa Pinola Estes è uno un libro che ogni donna dovrebbe avere sul comodino. Un’analista junghiana attraverso un’esperienza ventennale che ha raccolto storie e fiabe delle più diverse tradizioni e le racconta per parlare alle donne di oggi e ricordargli la loro forza ancestrale, esortarle a ricercarla, a risollevarsi, a rinascere dalle proprie ceneri.
Antonella, pugliese e Ilaria emiliana. Qual’è il ruolo della donna all’interno delle vostre tradizioni popolari? Qual’è la donna o l’oggetto che ricorda il femminile della vostra regione che più vi è rimasto impresso ?
ILARIA: Per la conoscenza che ho acquisito la donna emiliana è staffetta partigiana, mondina, artigiana, imprenditrice, è fatica, è gioia e come tutte le donne del mondo è ricerca di libertà. L’universo femminile in cui sono cresciuta è molto di più. Una costellazione di donne animate da una forza e un coraggio che le portavano oltre le imposizioni della società. Ogni loro azione o scelta era guidata da un volere autentico.
Donne che mi hanno insegnato la libertà di espressione e di pensiero quando non era ancora cosi scontata averla. Madri, zie, amiche di famiglia, maestre che hanno contribuito con il loro esempio a plasmare la mia identità lasciando un po di loro in me per sempre.
ANTONELLA: Se penso agli oggetti legati al femminile e li cerco nella mia infanzia, ricordo la toletta della nonna. Un tavolo basso con un enorme specchio e delle spazzole di pelo morbido e poi le creme, i profumi, i gioielli. Mi viene in mente ad una recente visita al museo M.A.R.T.A di Taranto, penso agli ori, alle boccette perfettamente conservate nelle tombe che contenevano olii profumati… cosa è cambiato? Da quelle donne a queste donne?
Forte nella mia memoria anche la statua della Madonna Addolorata della processione del Venerdì Santo, con il cuore trafitto da una spada. Mi ricordo le luci del paese che si spengono e le donne vestite di nero, con lunghi veli neri a coprire il volto e che arrivano a volte fino alle ginocchia, enormi candele in mano, unica luce nel buio della sera. Avanzano lente dietro l’Addolorata e come lei gemono in preghiera. Era un’immagine molto forte, faceva quasi paura. Ancora adesso quando mi capita di assistere ad una processione, è questo il momento che aspetto l’Addolorata e il coro greco di donne a lutto dietro di lei.
Chi è la donna della vostra vita e perchè?
Sono tanti i femminili dei quali mi sono nutrita e mi nutro.
Donne che hanno avuto la forza e la determinazione di prendersi il loro spazio, di nutrire il loro sguardo e sostenerlo per poi condividerlo.
Figure femminili che hanno lottato e lottano per i loro diritti con la prospettiva di un mondo migliore.
Femminili che hanno uno sguardo ampio, oltre ciò che si vede, che, nella semplicità dei gesti quotidiani, sanno dare presenza e supporto a chi ne ha necessità.
Donne di ieri e di oggi, che sono connesse con la terra e la meraviglia.
Se penso ad un’ attrice questa è Marlyn Streep, se penso ad una politica allora Rosa Luxemburg, una educatrice la Montessori, una poetessa Emily Dickinson, una scrittrice Virginia Wolf…
Ci sono e ci saranno sempre tante donne meravigliose, in ciascuna di loro, nel loro animo, nella loro personalità, delle sfumature del loro essere ci riconosciamo o vediamo qualcosa di alto a cui tenere. Perchè limitarsi ad un modello? Il femminile non è mai singolare, è plurale, liquido, emotivo, multiforme.
Chi volete ringraziare per la realizzazione di “Corpi al vento”?
Il nostro lavoro è stato autoprodotto che ci ha permesso di circondarci di collaboratori di fiducia che vorremmo ringraziare per il loro lavoro.
Roberto Anglisani, nostro maestro, che ci ha fatto conoscere e che ha messo a punto il lavoro attoriale,
Elisa Cuppini, straordinaria attrice e danzatrice che ha dato corpo alle nostre parole curando le narrazioni fisiche che hanno dato tridimensionalità allo spettacolo, facendoci esplorare le possibilità che il dialogo spazio/corpo offriva alla crescita del nostro lavoro.
Tea Primiterra, light designer, che con le sue luci ha impreziosito “Corpi al vento”dando vita ad uno spazio scenico nudo.
Massimo Bertoni direttore della Compagnia Teatro Evento che ha visto il nostro lavoro in prova e ha deciso di aiutarci e sostenerci. Un grazie speciale va a lui e alle residenze artistiche che ci hanno ospitato : B.R.A.C.T nella persona di Enrico Gentina, Michele Losi e tutta Campsirago Residenza e infine Silvia Civilla e Terrammare Teatro che offrendoci uno spazio , ha fatto diventare il nostro lavoro uno spettacolo fatto e finito.
Chi volesse vedere il nostro spettacolo può trovare informazioni sulle nostre pagine Facebook ( Ilaria Gelmi, Antonella Ruggiero) o scrivendo #corpialvento, può chiederci informazioni sulle prossime piazze scrivendoci una mail ( iariagelmi@yahoo.it – antonellaruggiero.theatre@gmail.com) Per i più curiosi questo è il trailer dello spettacolo…
https://www.youtube.com/watch?v=yURPLX47KS4
Le parole di Ilaria e Antonella sono state gli ingredienti di una ricetta che, amalgamandosi hanno creat0 un singolo universo dove non percepiamo più dove inizia l’una e finisce l’altra.
Metafora di una donna contemporanea che è la sintesi del suo passato e la soluzione per il suo futuro. Un mondo da esplorare.
Le immagini a colori sono tratte dallo spettacolo “Corpi al vento” presso il MAEC di Cortona (Museo dell’Accademia dell’Arte Etrusca) all’interno della rassegna del Teatro Archeologico a cura di Rumorbianco. Le immagini in bianco e nero sono tratte dalla replica di “Corpi al Vento” presso il teatro comunale di Nardò (LE).
Se ti va di leggere la mia Rubrica UAU PEOPLE
https://uaumagazine.com/sara-pellegrini-uau-people